Stefano Zecchi: laureato in Filosofia, scrittore, giornalista e docente italiano, professore ordinario di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano, ha collaborato con molte testate, tra cui «Il Giornale». Oltre a ciò, ha ricoperto molti importanti incarichi, tra i quali: Presidente del corso di laurea in Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, consigliere d’amministrazione del Piccolo Teatro di Milano, Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera sempre a Milano, membro del consiglio dell’Irer (Istituto per la programmazione scientifica e culturale della Regione Lombardia), rappresentante del Ministero della Pubblica Istruzione presso l’UNESCO per la tutele dei Beni immateriali, consigliere comunale a Venezia e, come già detto, assessore alla cultura a Milano, consigliere d’amministrazione del MAXXI (Museo dell’arte del XXI secolo), consigliere d’amministrazione della Fondazione La Verdi di Milano, consigliere d’amministrazione del teatro Parenti di Milano.
Autore di tanti libri di successo, tra cui Il figlio giusto. Romanzo di una maternità (2007), Quando ci batteva forte il cuore (2010, premio Acqui Storia nel 2011), Dopo l’infinito cosa c’è, papà? (2013), Paradiso Occidente. La nostra decadenza e la seduzione della notte (2016) e Rose bianche a Fiume (2014). Nel 2018 per Mondadori esce L’amore nel fuoco della guerra, e nel 2022 In nome dell’amore.
Nel recente illuminante saggio “In nome dell’amore” (Mondadori), Stefano Zecchi ci porta nel viaggio del sentimento, analizzandolo nelle sue trasformazioni con i mutamenti sociali, fino ad arrivare all’incantato legame tra amore e bellezza.
Quando l’amore è egoismo, ovvero un mettere se stessi in primo piano?
L’amore egoista, è quello incapace di riconoscere l’immagine dell’altro, non si rispecchia nel volto del compagno, ma solo e sempre in se stesso.
Quando invece l’amore è generosità?
Quando c’è la possibilità di ritrovare nell’altro, qualcosa che interagisce con se stessi, allora esiste l’opportunità di una relazione vera, abbandonando però l’idea del sacrificio, che spegne l’afflato autentico dell’amore.
Dalla notte dei tempi, le due magiche parole “ti amo”, sono la dichiarazione per eccellenza: oggi mantiene la stessa purezza etica?
Ho fiducia nei giovani: esiste in loro, un desiderio di fusione e spiritualità, assente per esempio, nel sessantotto, in cui imperversava una confusione incredibile! I ragazzi di oggi, non sono ossessionati dal sesso, e sognano un rapporto d’amore dato dalla sensibilità dell’incontro, proprio perché assediati dalla solitudine della rete.
Come si fa a capire che abbiamo trovato l’altra metà della mela?
Il perfetto incastro è un’illusione! Ci si perde in una ricerca nevrotica, ed invece resto fermo nella mia convinzione, che l’amore è un impasto di logica razionale, unita a sensibilità emotiva.
L’amore passionale regge alla prova del tempo?
Un amore normale non vibra, e risulta noioso! L’amore passionale è quello drammatico di Tristano e Isotta o di Romeo e Giulietta, per citarne alcuni, resi eterni dalle penne di grandi autori. Più prosaicamente, i drammatici episodi che ci narra la cronaca nera.
Il matrimonio d’amore è quello vincente sulla carta, o può risultare efficace un matrimonio non necessariamente basato sul sentimento?
A volte il matrimonio d’amore, crolla alla prova dei fatti della vita, cadendo rovinosamente. Quello ponderato, non dico solo quello poggiato su interessi economici, ma di organizzazione comune, quali viaggi in compagnia, piacere del condividere, costruzione di un percorso, funzionano con reciproca soddisfazione.
Chi è l’innamorato dell’amore?
È chi ama se stesso, da inguaribile Narciso. Nel mio libro “In nome dell’amore” cito la canzone di Edith Piaf “La Valse de l’amour”, in cui lei racconta l’amore di se stessa, che non è altro, se non l’occasione per amare il proprio amore, e l’immagine mentale che proietta all’esterno.
Qual è l’amore vanitoso?
L’amore vanitoso è quello ben descritto in letteratura del Don Giovanni, o del Casanova, uomini affascinanti che cercano una donna che non c’è, frutto di proprie idealizzazioni. Tuttavia, in questa vana attesa, razzolano e acchiappano qualunque persona capiti loro sotto mano. Ogni amore diventa una conquista, un fiore all’occhiello, un’ennesima vittoria, un trofeo da esibire.
Come si fa a riconoscere gli amori sbagliati?
È una cosa al contempo semplice e difficilissima! Gli amori sbagliati sono quelli che reclamano sacrificio, che fanno dire “ti metto sulla buona strada!” Quell’esibizione sterile di una sindrome da crocerossina, che si nutre dell’illusione di trasformare il mascalzone in un uomo corretto. Non è che in amore non ci si trasformi, ma si cambia con lentezza, e spesso non per merito del compagno, ma per sopraggiunta esperienza e saggezza di vita.
Cosa significa l’anarchia sessuale?
Una mancanza di regolo che sconfina in situazioni patologiche, che immettono in un’insoddisfazione talmente tormentata, da scivolare in un disordine sentimentale.
Che vuol dire che non esistono amori felici?
Esistono momenti di amore felice, ma anche dentro un amore che si qualifica come tale, scorre una vena di infelicità. Permane il desiderio di pienezza, legato alla capacità di trasformare i sentimenti nel tempo. Non a caso questi vuoti, sono riempiti dai grandi racconti mitologici, dalla potente letteratura, dalla saggia filosofia, che narrano fantastiche prodezze amorose, sublimi ed accattivanti.
Il divorzio ha fatto crollare l’avverbio “sempre”?
Non solo il divorzio! Il matrimonio è un contratto socio economico, legato a variabili temporali, nel caso estremo anche della morte. Il “per sempre” è davvero una luce nella notte, associata a dei momenti più o meno felici.
Lei scrive che la parola è una sfida all’amore.
Nel linguaggio interpersonale, la parola è protagonista nel trasmettere gran parte dei sentimenti. Pure il tono delle parole, trasforma un messaggio, oltre che i contesti, e l’accompagnamento di un linguaggio non verbale. Tutto questo, crea un colore che tinge e trasporta con sé il sentimento.
L’ars amatoria quanto è mutata negli anni Duemila?
L’ars amandi, cambia a seconda dei modelli suggeriti dalla comunicazione: può essere il cinema, la televisione, le canzoni, i comportamenti costruiti all’interno delle agenzie educative della famiglia prima, e della scuola dopo. Importante, che non venga meno la qualità del messaggio.
Come si costruisce nell’era della “generazione zeta” l’educazione sentimentale?
Attraverso l’esercizio del rispetto dell’altro: diversamente, non può esistere una corretta educazione sentimentale, che va preceduta da un’educazione estetica. Sin da bambini, dobbiamo insegnare a osservare con devozione le pennellate di un quadro, le linee di un edificio, i tratti di una scultura, le note di una musica. Quella bellezza, è un valore interiorizzato, che da adulti, si stacca da sè, per trasmigrare nell’amore verso l’altro. Imparo a rispettare quel volto, che rappresenta tutta la bellezza che mi è stata insegnata ad apprezzare.
L’amore trova nella bellezza il significato più alto?
“Kalòs e agatòs”, si incrociano in una summa in cui la bellezza sposa l’amore nel suo massimo significato. È un incontro in cui il bello non resta allo stadio effimero, ma si lega ai più alti sentimenti di purezza, che lo eternizzano.
POST INTERVISTA: RIFLESSIONI DAL LIBRO DI STEFANO ZECCHI “IN NOME DELL’AMORE”
SÌ, SONO EGOISTA: MI AMO DA SOLA! – di Cinzia Alibrandi
E se mi amassi da sola?
Con questa frase non si intende di fare a meno del compagno, tutt’altro! Perché se l’uomo è un animale sociale per antonomasia, figuriamoci se può rinunciare ad amare e ricevere amore!
Tuttavia, la maggior parte delle storie che navigano felici in acque ferme, pur avendo attraversato flutti vorticosi, che peraltro sono da guadare per chiunque, sono quelle in cui i protagonisti appaiono maturi, e vivono la loro vita, novelli uomini vitruviani, con le braccia in equilibrio dentro il cerchio magico dell’esistenza.
Allora una maturità endogena, costruita su un costante lavoro su se stessi, finisce per rendere i suoi frutti: agli occhi del compagno, tale innegabile compostezza, vale peso d’oro, in un’epoca in cui le relazioni affettive, e non solo quelle prettamente amorose, ne sono prive. Possederla, è come trovare un brillante nel terriccio, traballanti come siamo, sulla nostra sottile asse d’equilibrio.
A tale proposito, il poeta spagnolo Antonio Machado, nella poesia “Il giardino dimenticato” scrive:
Il vento, una mattina chiara, chiamò
il mio cuore con una fragranza di gelsomino.
“In cambio di questo mio profumo di gelsomino,
tutto l’aroma delle tue rose voglio”.
“Non ho rose; tutti i fiori
nel mio giardino sono morti”.
“Allora prenderò i petali appassiti
e le foglie gialle e l’acqua della fontana”.
Il vento se ne andò. E io piansi. E dissi
a me stesso: “Che cosa hai fatto, anima mia,
al giardino che ti era stato affidato?”.
La metafora del giardino, ci riconduce al luogo biblico dell’Eden, profanato da Adamo ed Eva, rompendo il patto di non violare l’unico albero di melo a loro vietato. Proseguendo nell’epica, veniamo introdotti all’eccellenza del “locus amoenus” di Omero, descritto nell’Iliade e nell’Odissea, o arrivando nell’età latina, di Virgilio nell’Eneide.
Nell’ode di Machado, è racchiuso tutto lo struggimento nostalgico e disperato dell’errore irreversibile, di fronte a cui non abbiamo fatto ciò che era in nostro potere, per rispettare e coltivare un bene prezioso, che stupidamente abbiamo lasciato inaridire.
Ma se non siamo in grado di rinverdire l’orto del cuore, come potremmo mai piantare buona semenza nel giardino dell’amore?
Allora, forza, amiamoci!
E per fare questo, occorre assumersi la responsabilità del proprio benessere, in un’azione di umiltà in cui proviamo a crescere e a migliorare, cercando di ottimizzare i record del nostro tempo personale con cui monitorare pensieri, progetti, percorsi, ostacoli, soluzioni, traguardi.
Ovviamente, non si può essere violini solisti e direttori d’orchestra di se stessi: nessuno possiede la bacchetta magica per suonare la melodia armoniosa della vita!
Cantando, non mancheranno le stecche stridenti, le note scordate, le parole fuori posto, nel comporre il pezzo che deve stare addosso, come quell’abito che cade a pennello.
Allora, occorre allenarsi, provare, riprovare con infinita pazienza.
Non ci sono soluzioni definitive e inamovibili: vorrebbe dire che siamo esseri perfetti, laddove risultiamo tutti dipinti sulla tela dell’imperfezione.
Ed è in tale cura di sé, che si arriva alla verità, necessaria base su cui innalzare qualsiasi relazione.
La saggezza delle saggezze, racchiusa nella filosofia greca, conduce a Socrate, che per primo, discetta sull’importanza della “cura di sé”, non come un’astratta raccomandazione, ma come un’azione capillare che renda giustizia alla propria anima.
Quel “conosci te stesso”, è una frase topica che ha fatto scuola in termini di percorso esistenziale: solo su questa pietra miliare possiamo incidere la possibilità di ricamare sul nostro io, i presupposti di una vita sensata, in cui desiderio e ragione, sono in equilibrio.
Dopo avere innescato questo giusto soliloquio, si può provare ad allargarsi al dialogo amoroso, articolando le giuste parole, senza alzare la voce della prevaricazione, ascoltando l’amato e lasciandosi ascoltare, in un ritmo in cui nessuno vuole correre più veloce dell’altro, visto che non c’è nessuna gara da vincere, perché non è il traguardo che conta, quanto camminare soddisfatti e felici, su un sentiero che profuma di equilibrio, di pace, di condivisione.
Allora, siamo entrati nel nostro “locus amoenus”, dove la bellezza dialoga con l’amore, e si sublima in esso.
Una strada dove ci sentiamo a casa, senza nemmeno aver aperto la porta, un luogo dove ci percepiamo al caldo, pure senza vestiti, una tavola dove ci consideriamo sazi, senza avere toccato pietanza.
Potenza sublime dell’amore che guarda con occhi innamorati la bellezza vera!