Si trova nel cuore della vecchia Milano all’Alzaia Naviglio Grande, 58 uno dei negozi più antichi di Milano, “Martin Luciano e figli”, fondato da Luciano nell’anno di grazia 1938, mentre in Europa cominciano a tuonare i cannoni della 1^ guerra mondiale.
È una storia di sopravvivenza, in tempi dove mettere a tavola una scodella di minestra è una scommessa, ma pure di passione e dedizione totale per il proprio lavoro.
Incontro la figlia di Martin in un bar del centro di Milano, e mi racconta con voce pacata che lei e suo fratello Paolo, hanno raccolto le redini di una piccola impresa, perché non sembra loro possibile interrompere quello che un padre ingombrante e geniale, ha portato avanti con perspicace inventiva, con le tasche vuote di soldi e il cervello pieno d’ingegno.
Il 16 Giugno 2019, alla Scala di Milano, riceveranno all’interno del “Premio Impresa e Lavoro 2019”, un premio in qualità di vincitori per la categoria “Impresa”.
Una curiosità: Graziana, selezionata da bambina per iniziare a frequentare la “Scuola di Danza della Scala”, la più prestigiosa in Italia, deve rinunciare perché il padre non la vuole lontana dal futuro che ha disegnato per lei, salirà per prendere una targa in mano, su quel palcoscenico che non l’ha mai vista danzare, in un’epoca dove i figli ancora abbassano la testa di fronte ai voleri genitoriali.
Eppure si commuove quando mi racconta che Luciano, sale sul tram in corsa per dichiararsi a una bella ragazza, Bruna, che non spaventata da tanta temerarietà, finisce per diventare la sua devota moglie e compagna d’avventura.
In un frangente storico in cui tanti giovani migrano all’estero per trovare un’occupazione, questa storia di forte sopravvivenza deve essere d’esempio. Luciano inizia a lavorare a Genova, patria di quella famosa tela da cui si taglierà il pantalone più famoso del mondo, il jeans. È operaio in un’azienda che importa la juta dall’India e comincia a maneggiare un mestiere. Quando ritorna a Milano, che aveva accolto sedicenne il giovane padovano, ha l’intuizione geniale di riesumare in un’intelligente attività di riciclaggio, l’abbondante materiale post bellico abbandonato tra le vie lacerate di Milano e le campagne della periferia. Così, si sventrano i sacchi militari di juta e i teloni dei carri, e diventano preziosi tessuti, che rivivono in una nuova foggia.
Il negozio, al cui piano superiore vive Graziana, mentre il fratello Paolo sta a Abbiategrasso a ridosso del deposito dei Martin, ha un arredo suggestivo, il cui impiantito è costituito dalla teoria delle casse, già piene di viveri, che gli americani dispensano sul territorio, mentre il bancone e gli scaffali sono costruiti da Luciano con le sue mani. L’insegna “Tutto per operai”, racconta senza fronzoli la mercanzia che, con una laboriosa operosità meneghina, si confeziona nel laboratorio aldilà del cortile, con delle “Necchi” e “Singer”, adesso oggetti di modernariato.
Quando sulla facciata potrà troneggiare a grandi caratteri la scritta “DITTA MARTIN LUCIANO” e la Prefettura di Milano autorizza la neo impresa, tra le righe sembra leggere “onore al merito, di chi ce la fa con la forza di ingegno, volontà, sacrificio”.
Poi, arrivano importanti clienti tra cui l’Atm, la Rai, che intervista il patron per TV7, diverse banche che acquistano sacchi per i loro preziosi, l’Alemagna che ordina contenitori in juta colorata, creati ad hoc per le confezioni natalizie. Intanto, i jeans vengono comprati da frotte di ragazzi, che indossano quel pantalone simbolo della beat generation e dei primi movimenti pacifisti.
E oggi?
Oggi mentre il Naviglio scorre con la stessa eterna sinuosità dentro i confini della Nuova Darsena, e sparisce l’antico lattaio, sostituito da locali di tendenza, e scompaiono le vecchie botteghe dei pittori, rimpiazzate da sofisticate gallerie d’arte, “Luciano Martin e figli”, è sempre là, fiero di quella fierezza antica d’altri tempi.
E la scrittora augura d’indossare ideali insieme agli abiti, affinché non senta freddo il cuore.