Se ne é scritto tanto, e stavolta la spaccatura Capuleti/Montecchi non è solo italica ma mondiale. Di cosa si parla? Ovviamente della designazione come Nobel della Letteratura al cantautore Bob Dylan. I più feroci urlano scandalizzati “è un cantante!”, che equivale a sottintendere, arte secondaria, di “serie B”. I più magnanimi mediano puntualizzando che visti i messaggi lanciati a ben tre generazioni da Dylan, era il Nobel per la Pace, a loro dire il più idoneo: insomma di errore sempre si tratta, ma in questo caso di categoria.
Fatto salvo che sull’universalità dell’arte sono scorsi fiumi, quindi volere incasellare un genio, è come raccogliere il mare in un catino, mister Zimmerman che fa? Quello che gli riesce meglio! Canta fuori dal coro alla sua geniale maniera. Come? Non risponde all’Accademia. Anzi, la ignora proprio!
Incredibile gridano in molti! Pure se la tira! E qualche flemmatico cattedratico norvegese la “fa fuori dal secchio” e lo taccia di presuntuoso e arrogante. E la scrittora?
Io penso, e la commozione per la recente morte non mi fa cambiare idea, che il Nobel per la Letteratura a Dario Fo fu sopravvalutato, mentre tanto mi sarebbe piaciuto in una recita dell’assurdo, una consegna all’immarcescibile Fabrizio De André, che di Dylan è una nobile versione nostrana.
Ai fautori del “sì” che hanno definito Dylan un menestrello medievale contemporaneo, io faccio un volo pindarico e torno alla pre-epica greca, quando gli aedi accompagnati da uno strumento, giravano di piazza in piazza regalando arte. Dopo i rapsodi, ovvero i “cucitori” di queste storie, pensarono di scriverle. Ed una delle teorie in merito alla stesura dell’ Iliade, la vuole ‘cucita’ appunto da più rapsodi.
La mia idea?
Il silenzio di Dylan è un clamoroso NO: si é schierato con i suoi denigratori, e rifiuta qualcosa di cui può fare a meno.
Perché? Perché chi ha scritto ‘Blowin’ in the wind’ vola in quel mondo impercettibile eppure sonoro e vibrante chiamato eternità. Tutto il resto, é letteratura.
Così si liquida un Nobel, un ricco premio in danaro, un’inutile contesa.
La foto di apertura di questo articolo è un ritratto di Bob Dylan dell’artista emergente americano Justin Herber