Ma come posso scrivere è morto Andrea G. Pinketts?
Eppure mentre allago il mio iPad di lacrime, gli devo questo tributo. Se n’è andato oggi pomeriggio, a soli 57 anni, alla clinica delle cure palliative il Tulipano, sezione staccata del Niguarda, dove era stato portato ieri a mezzogiorno.
Fino all’ultimo, parlava di lavoro e dell’uscita del suo prossimo libro, perché lui, di posare la penna, proprio non ne voleva sapere.
Caso mai ce ne fosse bisogno, per i pochi che non sapessero che con Pinketts se n’è andato il re del noir italiano, basta un click sulla tastiera per leggere la sua sconfinata carriera, che non è solo un’infinita bibliografia di successi, ma film, programmi e partecipazioni televisive, premi, rassegne culturali.
Un artista a tutto tondo talmente irregolare, da risultare ortodosso nella sua capacità immensa di fare diventare naturale l’arte suprema che aveva di vivere il paradosso.
Ne aveva fatto arma vincente, con una lucidità di penna e cultura altissima.
Con Andrea, si parlava di tutto, e tutto a lui devo. O meglio, gli devo essere stato il primo a credere in me, scrivendo una prefazione da par suo al mio primo romanzo “Anna e i suoi miracoli”, prolungando la sua generosità, presentandolo in più piazze italiane.
Non pago, mi aveva ridato fiducia con “Petali di Marta”, permettendo che diventassi “La Scrittora” e con “Torna a casa lettera”.
Titoli, tutti trovati da lui, che si vantava a pieno diritto, di essere un fine titolista. Dopo, quando ho iniziato a scrivere per il settimanale “Ora” e per “The Way Magazine”, l’ho intervistato più volte.
L’ultima, era stato operato da poco, lo vidi oltremodo dimagrito, con la faccia un po’ suonata di chi dalla vita ha preso il pugno in faccia troppo forte, quello da cui, pure se ti rialzi, nulla sarà più come prima.
Ci incontrammo al bar di via Washington, noi abitiamo, anzi abitavamo molto vicino. Rimanemmo più di tre ore, mentre il cellulare era quasi scarico, ma pieno della sua voce tonante che mi raccontava raccontandosi.
E che dire delle tante Fiere del Libro di Torino?
Quando passando apriva la folla e salutava a destra e a manca colleghi, di cui era amico con tutti, in un ambiente dove molto accese sono le rivalità. E del “Le Trottoir”? Il noto bar milanese era suo quartier generale, e mi appare impossibile varcarne da ora in poi la soglia senza vederlo là, con il suo sigaro ammaccato tra i denti, e un boccale di birra stretto saldamente in mano.
Al primo piano, il mitico “Spazio Pinketts” a lui dedicato, perché scrivere dietro un canonico scrittoio, era impensabile, e quel posto da lui tanto amato, era l’utero di velluto dove addomesticare una ruvidezza da gigante buono.
Di fatto, poi, non vi stava mai. Quando me lo mostrò orgoglioso la prima volta, ebbe a commentare “comunque lo faccio vedere, ma a me piace stare giù, seduto al tavolo a vedere le persone e a parlare, se no il bar che senso ha?”
L’ho sentito l’ultima volta al telefono poco tempo fa: era ricoverato al “Niguarda” e mi aveva detto “ma lo sai che c’è la fila qui al pomeriggio per venire a trovarmi?”
E al suono della mia voce triste mi aveva rimproverata “uè!!! Che c’è da fare questa voce? Non sono mica morto! Sto male: ma qui i medici sono così bravi che mi guariscono!”
Ora, caro Andrea, io dismetto il passato remoto e ti parlo scrivendo al presente.
Non sei guarito, perché un tumore è un mostro cattivo che non si può schivare, tuttavia non posso credere che in qualunque angolo del cielo, tu non abbia trovato una sedia su una nuvola, una trave che ti faccia da tavolino, un calice di cristallo azzurro da riempire di perle e fartele gorgogliare in gola, in una risata beffarda e allegra, talmente forte da arrivare fin quaggiù da tutti noi che ti piangiamo e rimpiangiamo.
Il significato di quella risata?
“Che avete da piangere? Non sono mica morto? Avete tutti i miei libri da leggere e rileggere: milioni di frasi che messe assieme, una dietro l’altra, sono una lunga e poderosa scala dal Paradiso alla terra, e da laggiù a quassù. Statemi bene: che i miei testamenti, li ho scritti da vivo, padre dei miei amati e da voi riamati, romanzi.”
Ciao Andreuccio, ti eri abituato a non arrabbiarti quando ti chiamavo così.
Non riposare in pace: resta sempre guerriero ruggente.