Rupert Everett passa dall’età vittoriana di “The happy prince” all’immersione nel Medioevo de “Il nome della rosa”, la fiction attesissima che verrà presentata oggi alla Rai.
Ha fatto sognare tutte le donne del pianeta, Rupert Everett quando ne “Il matrimonio del mio migliore amico” (1997) smagliante e sexy come non mai, prestava il fianco a Julia Roberts per tentare il disperato, quanto inutile attacco, alla gelosia retroattiva dell’ex che convola a nozze.
Il famosissimo attore, è dotato di un’incredibile disponibilità, e questa scorsa estate, alla 64^ edizione del Festival di Taormina, dove ha ricevuto ben due premi, sono risultati molto divertenti i siparietti in cui, mentre tutti si prodigavano per parlargli in un inglese, a volte fortunoso, lui rispondeva ridendo in ottimo italiano! Adesso arriva su Rai1 con la serie “Il nome della Rosa”.
Esci su Rai Uno con “Il nome della Rosa” tratto dal celebre romanzo di Umberto Eco.
Esatto: ho finito di girare a Roma quest’estate ed è una serie televisiva con Giacomo Battiato, regista che stimo moltissimo. Come tutti sanno, è tratta dal multipremiato libro di Umberto Eco ‘Il nome della rosa’, ambientato nell’Italia cupa e medievale del 1327. Guglielmo da Baskerville e il suo apprendista Adso da Melk, devono snidare un serial killer nascosto dentro un monastero benedettino. Ecco perché il mio italiano fa passi da gigante: trascorro lunghi periodi nel vostro paese!
Qual è il tuo ruolo?
Intanto si vedrà sugli schermi a partire dal 4 Marzo per otto puntate di 50 minuti l’una. Il lavoro vanta un cast internazionale, e credo che rispetti molto le intenzioni del compianto Umberto Eco, autore del best seller “In nome della rosa”. Io sono l’Inquisitore Bernard Gui antagonista di John Turturro che interpreta Guglielmo da Baskerville, il monaco francescano che indaga su una serie di turpi omicidi.
Sei stato ospite alla 64^ edizione del Festival di Taormina.
Io amo l’Italia, parlo la vostra lingua e a Taormina sono venuto tante volte, provando un bellissimo impatto con il territorio. Quando parto, ho già voglia di ritornare! In questa circostanza ho ricevuto addirittura due premi: il Tauro d’oro alla carriera e quello come regista.
Hai saltato la barricata passando dietro la macchina da presa.
Nel film proiettato al Festival “The happy Prince”, oltre a essere il protagonista ho firmato la regia ed essendo stato un esordio, questo premio mi ha reso particolarmente orgoglioso.
È un’esperienza isolata o vorresti firmare una nuova regia?
Lavorare all’impianto dell’opera nella sua completezza, è stata una novità emozionante e mi piacerebbe ripetere l’esperienza, con una nuova regia, possibilmente non impiegando dieci anni, com’è successo questa volta! Non ho film preferiti su cui puntare l’attenzione, magari sarebbe bello raccontare un’altra storia su Wilde, che assolutamente adoro.
Oscar Wilde è un autore da antologia e plurinarrato: in cosa si è distinto il tuo film dagli altri?
Ho colto e narrato una parte della vita di quest’eccezionale personaggio mai trattata. Le opere su Wilde che conosciamo sono antecedenti alla prigione e riguardano l’età giovanile. Io mi sono concentrato sull’autore dopo la prigione e l’esilio, gli ultimi giorni della sua vita fino alla morte. È una curiosa coincidenza e mi ha commosso essere stato premiato, con un film che lo celebra, proprio a Taormina, dove lui era venuto dopo l’esilio più di cento anni fa.
Ricorre la tematica dell’omosessualità che annienta Oscar Wilde.
Wilde subì una spietata condanna per le sue inclinazioni sessuali, di cui è importante e sempre utile parlare: un argomento molto attuale. Questo film è un atto d’amore a un immenso artista, che è vissuto e morto per amore, senza risparmiarsi. Rilevarne la parte più intima e nascosta, spesa dentro la stanza di una dimessa pensione parigina, spero rimandi al pubblico un’immagine diversa, che è stato bello fare emergere, quale doveroso tributo. Sono stato coadiuvato da un grande cast che spazia da Colin Firth a Emily Watson, a Colin Morgan e Tom Wilkinson.
Dichiararsi e schierarsi è ancora rischioso?
Senza arrivare ai due anni di carcere di Wilde, visto che erano altri i tempi, la modernità di oggi apre sull’omosessualità ombrelli a paracadute, solo in superficie. Certo rispetto ad una volta, adesso va molto meglio.
Ti piace collaborare con italiani.
Nel mio film il truccatore era italiano, ma soprattutto mi sono avvalso per i fantastici costumi del genio di Maurizio Millenotti, che conosco da vent’anni ed è ormai un intimo amico, con all’attivo due nomination agli Oscar per “Otello” e “Amleto” del maestro Zeffirelli.
Come si vive da star mondiale?
Molti amano dire che hai libero a qualunque ora, il tavolo più in vista del ristorante alla moda: recupero questa parabola perché è vero, accade pure a me. Con una differenza: rispetto a tanti personaggi famosi, non dimentico che la popolarità può finire in un attimo, insieme agli inchini e ai posti d’onore. Meglio mantenere un “low profile”, come faccio io da sempre.
L’intervista è terminata e la scrittora augura che tutti ci immergeremo nel mondo antico e misterioso de “Il nome della Rosa”.