Nel suo cognome c’è la storia della poesia italiana che si è fatta internazionale, quando nel 1959 il padre Salvatore Quasimodo, vince il Premio Nobel per la Letteratura. L’attore e regista Alessandro, suo degno figlio, con i versi non solo ci è cresciuto, ma gira il mondo in conferenze, ricordandone e glorificandone il nome e l’opera. Ieri, in tutte le scuole d’Italia, si è svolta la prova di Italiano per l’esame di stato delle scuole superiori. E una delle tracce era incentrata sulla poesia “Alla nuova luna” del 1957, tratta dalla raccolta “La Terra Impareggiabile”.
Alessandro, potresti commentarla come se avessi svolto tu il saggio?
Avrei pensato che era una traccia molto innovativa rispetto al periodo storico. D’altronde i poeti sono dei veggenti, e Quasimodo nel 1958 precorse i tempi, parlando di tecnologia avanzata in un momento in cui non esisteva, ed ha lasciato tutti sorpresi. I russi con lo “Sputnik” erano andati sulla luna e questo evento epocale, gli aveva suggerito una celebrazione dell’intelligenza laica degli uomini, che agganciano gli astri.
Qualche critico letterario ravvisava un eccesso di laicità.
Non sono andati a fondo. Ai tempi ci fu una grande polemica strumentalizzata sul quotidiano ”L’Unità”. Per mettere a tacere tutto, ricordo che la chiusa del testo, è la parola “Amen”.
Che rapporto aveva tuo padre con la religione, ti portava in chiesa?
No, mai. La sua religione era essere poeta: chi scrive versi entra in un rapporto viscerale e intimo con se stesso. Alla sua formazione ha contribuito l’incontro a Messina con Giorgio La Pira, che, morti i suoi genitori a Pozzallo, fu cresciuto dallo zio materno. Con Giorgio mio padre fondò “Il nuovo giornale letterario”, pubblicato a loro spese e venduto in una tabaccheria della città, di un parente di La Pira. A proposito della profonda religiosità di questo testo, Giambattista Montini lo lesse nel 1958 in Duomo, commentando che andava inteso come una preghiera, e ricordo la statura morale di Montini, che diventerà poi Papa Paolo VI.
Un tempo l’esame di stato si chiamava ‘Maturità’. Che ne pensi della scomparsa di questa dicitura?
Ai miei tempi, l’esame si faceva portando il programma di tutte le materie, e degli interi anni di scuola. Si chiamava “maturità” perché ci si temprava come una prova del fuoco per ottenere quel diploma. Oggi bisogna convenire che è tutto molto più facile ed edulcorato: allora ben venga il titolo “esame di stato”.
Fai questo esercizio di memoria: te, bambino, tuo padre poeta. Quale suggestione riaffiora?
Lui che scrive indefessamente, e mi dedica uno spazio per un mio compito scolastico, oppure la volta in cui mi porta a prendere un gelato.
C’è un tratto caratteriale dei tuoi genitori che hai coltivato?
Di mia madre porto nel cuore l’enorme sensibilità e la capacità di accettare quello che la vita ti porta, unita a una grande combattività. Mio padre, invece, era coerente a se stesso, per paradosso, pure in momenti di grande incoerenza.
Sei figlio di un grande padre ma anche di Maria Cumani, attrice, danzatrice, poetessa.
Mia madre è stata un’assoluta Musa ispiratrice per il Poeta, ma a sua volta una delle più grandi artiste del Novecento, con un corredo di autentica poliedricità: danzatrice somma ed attrice, infatti abbiamo pure condiviso le assi del palcoscenico. Mi ha trasmesso l’amore per l’arte e la sensibilità, quale necessario approccio per il mio mestiere di attore e regista. E tutto quello che sono, lo devo a lei.
C’è oggi un progetto a cui tieni maggiormente?
Con il giovane Federico Mastroeni che cura le relazione del “Parco Quasimodo” di Roccalumera, vicino Messina, abbiamo creato all’Istituto Comprensivo di Opera, in provincia di Milano, con professori attenti e sensibili, il “Quasimodo day” e una mostra dal 14 al 28 giugno, che raccoglie oggetti della vita quotidiana di mio padre. C’è un flauto di carta fabbricato da lui adolescente, o una delle sue penne. È un progetto pieno d’amore e dedicato ai giovani, per tramandare il suo messaggio poetico.
In tempi passati hai detto che “L’alto veliero” è la tua poesia preferita di Salvatore Quasimodo. Vale ancora oggi?
“L’alto veliero” resta e resterà la mia poesia preferita, perché nel testo vi sono citato come figlio, ed è una sorta di testamento spirituale, scritto sul mio cuore da quando è stata composta.