Nella sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini di Corso Buenos Aires a Milano è andata in scena l’ultima pièce di Bernard-Marie Koltès ispirata ad un drammatico fatto realmente accaduto, quella del giovane pluriomicida italiano Roberto Zucco che sconvolse le cronache degli anni ’90.
“Roberto Zucco” è – purtroppo (perché ne avremmo volute molte altre) – l’ultima opera del drammaturgo francese, già malato di Aids e condannato a morire di lì a poco senza peraltro poter vedere mai rappresentato il suo testo sulla scena. Un giorno, nella metropolitana di Parigi, Koltès vide il manifesto con il volto del ragazzo e, sotto, la scritta della polizia francese: “Recherche”. Da allora, come l’autore dichiarerà più volte, inizia a prendere vita nel suo immaginario un’idea, un’ossessione: scrivere un testo che abbia per protagonista il giovane pluriomicida.
“Vivo – scriverà – solo per ultimare questo testo”. Zucco era uno studente di quinta D del liceo scientifico Morin a Mestre. Il 12 aprile 1981, all’età di 19 anni, uccise i genitori, accoltellando per 32 volte la madre Maria e, dopo averne atteso in casa per tutto il giorno il ritorno, colpì col retro di un’accetta il padre Nazario nella loro casa di via Terraglio, 296. Dopo aver ucciso i genitori, ne occultò i cadaveri nella vasca da bagno piena d’acqua. Li uccise perché non gli facevano usare l’Alfasud di loro proprietà. Fuggì poi da Mestre, ma le indagini sull’omicidio dei genitori vennero indirizzate subito su di lui, che due giorni più tardi venne arrestato all’uscita di una pizzeria poco lontano dal confine con la Jugoslavia, dopo che era tornato brevemente sul luogo dell’omicidio. Dichiarato infermo di mente dal tribunale, venne condannato a 10 anni e internato nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia.
Nel 1986 approfittando di un permesso, evase dall’ospedale facendo perdere le proprie tracce, si rifugiò in Francia con documenti falsi e il cognome cambiato in “Kurt”. Qui commise altri cinque omicidi (un brigadiere della Gendarmeria Nazionale Francese, un medico, un ispettore di polizia e due donne). Dalla Francia attraversò la Svizzera e tornò in Italia e, il 28 febbraio 1988, fu arrestato in Veneto in località Bocca di Strada di Santa Lucia di Piave. Tentò nuovamente di evadere dal carcere di Santa Bona di Treviso, improvvisando una conferenza stampa sul tetto del penitenziario con molta gente accorsa intorno al carcere. Il 9 maggio 1988 l’Italia rifiutò di estradarlo in Francia; Zucco fu nuovamente dichiarato irresponsabile dagli psichiatri, diagnosticato come «schizofrenico paranoico». Nella notte tra il 22 e il 23 maggio 1988, nel carcere San Pio X di Vicenza, fu ritrovato morto, soffocato con un sacchetto di plastica riempito di gas.

Tutto è perfetto per scriverne un’opera teatrale, un film, un romanzo. C’è, in questo caso, non un eroe ma un antieroe, ci sono gli omicidi, le fughe, le violenze, il suicidio. Ma cosa c’è in realtà che spinge lo spettatore a voler assistere ad una storia così cruenta dove solo il ricordo di ciò che ha commesso Roberto basterebbe a non farci accomodare in platea?
Uno dei primi casi di cronaca spettacolarmente mediatici che l’Europa ricordi, colma la misura intimistica dello scrittore e si riempie con lo sguardo rivolto sul mondo che vuole raccontare: la violenza degli ultimi, dei folli, la straziante angoscia della morte, della fuga e della inconsapevolezza di essere un essere non umano, quindi un pazzo omicida. E’ l’attualità del dolore sempre vivo e presente che fa di questo testo un episodio quotidiano, qualcosa che vorremmo esorcizzare per vederne la fine ma ben consapevoli – fin dai tempi di Caino – che tutto si ripeterà in un modo o in un altro.
La messa in scena di Giorgina Pi, regista del collettivo romano Bluemotion, rende allo spettatore tutto quello che deve rendere. Gli attori “disegnati” a puntino, la scena scarna e intensa nel suo essere sempre in penombra, quasi a confondersi e fondersi con l’anima nera di Roberto ci proietta nel crime dantesco, infetto dal girone infernale di cui ci si sente pervasi, quello dell’animo del protagonista incarnato da Valentino Mannias.
Roberto poi muore suicida, nel carcere. Abbiamo fallito come società o ci si sente più liberi?
Se amiamo il Teatro è perché non cerchiamo risposte, ci sembra già fin troppo bello porci delle domande.
Roberto Zucco
Di Bernard-Marie Koltès
traduzione Francesco Bergamasco
adattamento, regia, scene e video Giorgina Pi assistente alla regia Michael Ferretti
costumi Sandra Cardini e Gianluca Falaschi assistente ai costumi Anna Varaldo
colonna sonora originale Valerio Vigliar
ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai
con Valentino Mannias e Andrea Argentieri, Flavia Bakiu, Monica Demuru, Gaia Insenga, Giampiero Iudica, Dimitrios Papavasilìu, Aurora Peres, Alessandro Riceci, Kevin Manuel Rubino, Alexia Sarantopoulou
un progetto di Bluemotion
produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Metastasio di Prato e RomaEuropa Festival
In accordo con Arcadia & Ricono Ltd. Per gentile concessione di François Koltès. L’opera Roberto Zucco è edita da Arcadiateatro Libri, Bernard-Marie Koltès TEATRO – Volume 2