Ci sono tempi e modi che spingono a chi si occupa di scoprire, visitare, esplorare persone e luoghi di cui hai solo sentito un accenno, un fiatare da una voce amica o meno. Il tempo è arrivato e il modo pure. Passare del tempo a Genova e riconoscere chi ha talento, capitando quasi per caso in questo atelier dell’artista Ruben Esposito in via Lomellini 17, scultore e poliedrico artista, barba ipnotica come il suo volto, è una dedica ad una città che sa cosa vuol dire fare musica. E il progetto di Ruben Esposito insieme ai suoi musicisti – però non vuole essere definito frontman ma giustamente riconosciuto come “gruppo”, “un progetto” – è un’ulteriore conferma che tra i vicoli di questa città la Musica ha un valore molto alto.
Appena entri nello spazio ti accorgi di essere in un autentico palazzo della Genova antica, basta solo fare le scale per arrivarci. La gentile Fanny ti accompagna, attraverso una porta del tempo, in un universo a sé stante tra il barocco e drappi rossi, un piccolo banco che dispensa vino e birra, un palco e una autenticità che non trovavo quasi più.
Il concerto inizia, le sedie sono strette attorno al palco, ai musici, al cantante. È un corpo unico, una frequenza che parte da un punto preciso e di dipana tra le sedie, le persone, i loro occhi, le loro mani. A cantare i suoi testi è questo uomo, vestito con pantaloni eleganti e gilet che domina il centro della sala, l’asta del microfono come un amico a cui abbracciarsi ma non perché si è ubriachi, ma perché le cose belle si condividono.
Chi sei, Ruben?
Ho cominciato molto giovane a studiare chitarra classica e a scrivere i miei primi brani, intorno ai 20 anni partecipammo con il mio gruppo di allora a parecchi concorsi musicali, ma non c’era ancora in me la struttura per proseguire in quel progetto.
Così dopo non poche battaglie emotive cercando di capire perché stessi componendo musica e a cosa aspirassi nel farla, decisi di smettere di suonare e di scrivere, dedicandomi completamente alla scultura.
Un’arte che mi è stata tramandata da uno Zio, che già a dieci anni mi trasportava in mondi che tuttora mi aiutano a ritrovare il centro.
Arrivo da una famiglia non comune ma che nei confronti dell’arte non ha mai provato nessuno slancio. Così, questo Zio come poi altre persone in futuro furono per me vere e proprie finestre da dove affacciarmi per sognare, ma soprattutto per darmi delle possibilità alternative per vivere e per guadagnarsi il pane.
La scultura è un’arte più solitaria dove non sei obbligato a sentirti parlare, dove i tuoi pensieri negli anni si trasformano in forme, dove la luce e l’ombra si sostituiscono a parole e silenzi.
Dopo alcuni anni di questa silenziosa introspezione, dovuta anche al trasferimento della mia famiglia in un paesino del basso Piemonte dove ho passato molti inverni a guardare la nebbia – più o meno una decina – qualcosa si muoveva, altri bisogni. Il Piemonte è una regione che mi ha dato molto, è un posto dove ho avuto la possibilità di avere il mio primo atelier. Il ritorno a Genova è legato sia ad amici che a una gallerista che mi ha aiutato tantissimo, facevo avanti e indietro tra Genova e Piemonte sino ad allora.
Riuscivo a lavorare bene, avevo diverse gallerie con cui collaboravo. Purtroppo però le gallerie piemontesi con cui lavoravo chiusero, lasciai la mia casa e il mio studio, fu veramente un momento di passaggio. Incontrai quella che è tutt’ora la mia compagna e decisi di tornare definitivamente a Genova. Non avevo più il mio studio dove comunque organizzavo concerti la distanza con la musica dal vivo si faceva sentire, mi mancavano le persone, i musicisti e l’entusiasmo di chi suona senza compromessi, di chi solo per il piacere di stupirsi e di crescere, potendo condividere queste emozioni con gli altri, ma anche solo il piacere di ascoltare chi si mette alla prova.
Una volta a Genova decisi di creare uno spazio dove poter continuare a fare il mio lavoro di scultore ma con la particolarità di accogliere artisti che avessero intenzione di svelarsi con brani propri. Iniziai a realizzare un ambiente d’ascolto necessario alle loro e alle mie esigenze.
Tra il 2016 e il 2017 nasceva Spazio Lomellini 17. Un luogo dove solo nei primi quattro anni di attività ha avuto la gioia di ospitare, con più di 150 concerti, artisti da tutto il mondo e un pubblico curioso pronto a sentire ogni genere musicale.
Un luogo dove si è costruito molto socialmente. Un luogo che ci ha impegnati emotivamente e finanziariamente ma che ha realmente riempito quel bisogno di socialità di cui non solo io avevo bisogno. Creando nuove amicizie anche fraterne. Poi è successo quello che tutti sappiamo di cui non voglio parlare qui, ma durante l’inizio di quel periodo si è nuovamente ripresentato un vecchio amico che conoscevo molto bene, il silenzio.
Non potendo vedere gli altri, non potevo scolpire perché non arrivavano nemmeno le materie prime, dovevo occupare il mio tempo e così ripresi a scrivere, ma non pensieri. Siccome ho sempre avuto una grafia oscena decisi di migliorarla prendendo libri che amavo, ricopiandoli.
Tutti i giorni riscrivevo pagine di libri, cercando di migliorare la mia scrittura. Tutti i giorni praticavo ore di meditazione. Quando potevo, andavo in campagna a meditare.
Le forme scultoree che solitamente comparivano nella mia mente anche durante i sogni cominciarono a sostituirsi a parole, parole proprie e con un bel suono.
Cose da poter scrivere, in bella scrittura questa volta e che avevano un senso emotivo.
Così ho ricominciato a espormi a me stesso con me stesso, con quella creatura che vive dentro di me e che si ciba delle mie emozioni.
Chiesi ad un’amica una chitarra, ripercorrendo quella strada su cui non camminavo da tempo, abbozzando strofe, frasi e sciogliendo dei meccanismi di difesa dai miei desideri, che avevo costruito per 15 anni.
Quindi se devo dirti cosa mi ha spinto a riprendere la musica come strumento espressivo, è stato mettere nuovamente alla prova il coraggio di affrontare i propri mostri e così facendo scoprire che molti desideri che credevi abbandonati possono ritornare con più consapevolezza, scoprendo che per esaudire i propri sogni ci vuole lucidità.
Come nasce il progetto La Frequenza delle Onde? Come sono nate le sue canzoni?
Questo progetto parla del guardarsi dentro. Come se all’improvviso avessi girato la telecamera verso di me, dentro di me. Per scoprire quanto noi non possiamo essere presenti qui senza gli altri ma allo stesso tempo questo nostro stare qui genera negli altri movimenti emotivi. Come un’onda. Ogni scelta che prendiamo è frutto di un movimento collettivo che va a influenzare il nostro modo di stare e quello degli altri. La frequenza delle onde arriva dall’idea che onde di memorie vivono comunque dentro di noi.
Come se da un ipotetico big bang emotivo nasca quantomeno la nostra famiglia. Qualcuno un giorno ha gettato una pietra nel mare e quei cerchi continuano sino a noi portando memorie, talenti ma anche rabbia e nodi da risolvere. Credo che queste onde si intreccino con le onde di tutti. Siamo tutti coinvolti. La risposta alla tua domanda, come nascono le mie canzoni? Con la necessità di non mentirmi.
Chi sono gli artisti coi quali hai collaborato in passato? E in che “forma”?
Molti pittori con cui ho condiviso esposizioni, artisti, intellettuali veri che mi hanno aiutato a crescere.
Alcuni registi, perché tra le mie sperimentazioni artistiche c’è la scenografia, espressione artistica che adoro perché mi permette di uscire dalla mia personalità mantenendo il mio gusto artistico collaborando con le fantasie di altri.
Anche in quel campo la musica era presente, ho lavorato con doversi musicisti, facendo le scenografie dei loro concerti, il più conosciuto tra loro c’è il nome di Vinicio Capossela con cui ho fatto diversi concerti, come scenografo.
Sei legato a doppia mandata ad un gruppo di musicisti che hanno condiviso il palco con te, hanno sudato, hanno esultato, hanno messo il proprio talento nel progetto.
Gli eroi che mi accompagnano in questo viaggio sono: Sarah Demagistri e Deniz Ozdogan che mi accompagnano cantando, Riccardo Barbera al Contrabbasso con cui ho curato gli arrangiamenti. Alberto Turra, Chitarra. Edmondo Romano, Fiati. Raffaele Rebaudengo, Viola. Matteo Minola, Batteria. Matteo Minchillo, Pianoforte. Davide Mocini, Liuto.
Suonare con questi musicisti è chiudere un cerchio, che in realtà è far partire una ruota per una nuova strada. Avrei potuto fermarmi all’E.P. auto prodotto nel mio studio ma quello che uscito con la collaborazione con questi fuoriclasse ne è valsa tutta la fatica fatta. Un viaggio profondo dentro me stesso e una tappa di questo viaggio è stata la realizzazione di questo live.
Prossimi appuntamenti allo Spazio Lomellini di Genova?
Prossimi appuntamenti sono il 22 con i Lady Ubuntu e il 28 con Antonio Rodo. Il calendario lo pubblichiamo sulla pagina IG e FB di Spazio Lomellini 17 un paio di settimane prima di ogni evento.
Dopo il concerto rimango un po’ in silenzio. Ho bisogno di questo. E’ nato qualcosa ed è giusto che questo figlio prosegua la sua strada verso l’alto. Ripeto a mente quei versi che ho appena sentito cantare e che mi sono piaciuti: “Quello che non so, è quello che mi può salvare. Io voglio imparare ad amare, prima, almeno un attimo prima di morire.”
Genova e la sua noncurante atmosfera è capace di regalare tutto questo.