Una scena scura, ombre di fantasmi alle spalle, preludio al tragico. Si apre così il “Re Lear” della pregiata bottega artistica De Capitani-Bruni-Frongia- custodita in quella sala di Corso Buenos Aires a Milano.
Re Lear (King Lear) è una tragedia in cinque atti, in versi e prosa, scritta nel 1605–1606 da William Shakespeare e inizia con un quasi gioco, forse vanto e scherno che fa da termometro per costringere le tre figlie di Lear, Goneril, Regan e Cornelia – la più amata delle tre – a confidare al padre il loro totale amore ricevendo così in cambio, in base alla misura dell’amore e ammirazione verso il loro padre, terre e ricchezza, ma Cordelia si rifiuta di gareggiare con l’adulazione delle sorelle maggiori poiché è convinta che i suoi veri sentimenti sarebbero impoveriti dall’adulazione rivolta al proprio vantaggio.
Lear forse è troppo vecchio per non capire la saggezza di Cornelia e preso dall’ira divide la quota del regno che le spetterebbe fra Goneril e Regan e mette al bando Cordelia, l’unica non ancora maritata. Preso da compassione per così tanta sincerità, il Re di Francia sposa Cornelia e la porta in patria.
Ma sarà solo per questo o perché premedita un’invasione della Britannia?
Fosse solo questa la trama della storia saremmo quasi in una soap opera. Ma così non è e per questo ringraziamo il Bardo inglese e la compagnia dell’Elfo tutta.
Dicono Bruni e Frongia «Perché Re Lear? Perché tornare ancora una volta a Shakespeare?
Re Lear ci tocca da vicino perché è il racconto di uno dei viaggi più strazianti dell’uomo verso la sua vera essenza. Un cammino rovinoso conduce il vecchio e arrogante re dal trono fino alla landa desolata dove riuscirà a intravvedere l’essenza più vera dell’uomo.
E forse ora abbiamo l’età giusta per fare questo viaggio assieme ai quattro folli che attraversano la notte tempestosa più famosa della cultura occidentale.
La parabola di Lear è terribile: trascinare il nostro tempo oltre il tempo che cambia, usurpare la vita bloccando il naturale passaggio fra le generazioni e trasformarlo in una guerra non può che portarci a un destino di follia e di cecità. Ma sotto il cielo scuro e tempestoso risplendono brevi, strazianti bagliori di amore: l’incontro di Edgar con il padre accecato, la dedizione di Kent per il suo re, la pietà di Lear per il suo Matto e il suo lamento sul corpo della figlia Cordelia. Re Lear non è solo una parabola, è anche un capolavoro di potentissimo teatro: i suoi personaggi hanno la tridimensionalità della vita, anzi di una vita che dall’inizio del ‘600 ad oggi palpita ancora reale».
Ed è artisticamente importante per un teatro come l’Elfo-Puccini, riportare la messa in scena ad uno stato di artigianalità, a bottega rinascimentale dove i fondali, le scene, l’attrezzeria e financo le parole siano state strutturate mano a mano da loro stessi e da bravi collaboratori, respirando gli odori acri delle vernici, dei solventi, insieme a tutti loro e sorbendo parole, prove a tavolino, in piedi, coi costumi, parallelamente alla stanchezza delle prove e impreziosendone il risultato.
De Capitani si colloca in una delle sue memorabili interpretazioni incarnando sangue, sudore, sputi, spalleggiando i compagni di scena ma svettando come un autentico imperatore: polmoni e fegato, ira e demenza e sotto lui tutti i personaggi che rendono quest’opera di Shakespeare una delle più intricate ed avvincenti (insieme, a mio avviso, al “Cimbelino” e al “Sogno di una notte di mezza estate”) come Gloucester, Edmund, Edgar, the fool, Cornwall e il seguito.
Forse ci si chiede perché il Matto sia vestito con canotta americana, tulle da ballerina e parli con cadenza sicula. Non l’ho ancora capito ma me ne sono fatto una ragione: vuoi vedere che si è così matti che anche in una scena ambientata in una terra anglofona, orientativamente negli anni ’30 del secolo scorso (Bruni-Frongia mi perdonino se sbaglio, ma a vederne i costumi… ) ci sia qualcuno che già possa aver preso una barca e recatosi in quella terra, forse scoperta dai vichinghi prima di Colombo, possa aver viaggiato nel tempo approdando agli anni ’80 e aver visto una partita di basket dei Denver con qualche giocatore figlio di immigrati siciliani? Si, e non disturba affatto.
Se avrebbe potuto interpretare prima la parte di Re Lear -domanda di un collega a De Capitani – la riposta è stata: “No, sarebbe stato impossibile. Ci sono voluti questi cinquant’anni di teatro e alcuni ruoli fondamentali: Roy Cohn di “Angels in America”, il commesso Willy Loman di Arthur Miller, Achab di Moby Dick. Ognuno ha contribuito a suo modo, pur nelle differenze. Roy osserva crollare quello che ha costruito, dopo una vita priva di empatia; il commesso è una figura senza potere, ma incapace di ascoltare i figli; mentre Achab è la dimensione ossessiva, indulgente verso sè stesso nell’autocommiserazione. Re Lear è un viaggio nella dimensione dell’uomo”.
Ed è questo che si prova andando a vedere il Lear dell’Elfo, un viaggio nella dimensione dell’uomo tra le sue colpe, la sua testardaggine, la sua ira, la sua compassione, la sua redenzione.
Un viaggio che ognuno di noi tramite il Teatro potrebbe e dovrebbe fare, per porci delle domande rispondendoci, un giorno, di aver almeno tentato di essere uomini migliori.
RE LEAR
di William Shakespeare
traduzione Ferdinando Bruni
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
Elio De Capitani LEAR
Umberto Terruso KENT / MESSAGGERO
Giancarlo Previati GLOUCESTER
Mauro Bernardi EDGAR / BORGOGNA
Simone Tudda EDMUND
Elena Ghiaurov GONERIL
Elena Russo Arman REGAN
Viola Marietti CORDELIA / VECCHIA
Giuseppe Lanino ALBANY
Alessandro Quattro CORNWALL / CAPITANO
Mauro Lamantia MATTO
Nicola Stravalaci OSWALD / FRANCIA
luci di Michele Ceglia
suono di Gianfranco Turco
movimenti coreografici Stefania Ballone
pittura scene Ferdinando Bruni
assistente regia Alessandro Frigerio, Fabrizio Gallo (tirocinante)
assistente scene Marina Conti
assistente costumi Elena Rossi
capo macchinista Giancarlo Centola
tecnico di palcoscenico Pierluigi Guarino
sarta Anna Leidi
Laboratorio scene Marina Conti, Giancarlo Centola, Tommaso Serra
Sara Gaggi, Daria Gislon (tirocinanti pittori scenografi)
Laboratorio costumi Ortensia Mazzei, Elena Rossi
Elisa Riccio, Alessia Rigassio, Luciano Cappiello (tirocinanti realizzatori)
Le uniformi sono state fornite da Sartoria Nori s.n.c.di Nori Marco e C.
foto Laila Pozzo
grafica Plumdesign
coproduzione Teatro dell’Elfo – Teatro Stabile dell’Umbria