Partecipare alla prima rappresentazione della ripresa di quello che è stato per il Teatro Franco Parenti una fortunatissima messa in scena de “Il malato immaginario” nel 50° anniversario della sua nascita è un evento emozionante e non si può fare altro che festeggiare il traguardo raggiunto dal Teatro guidato da Andrèe Ruth Shammah e tutta la sua squadra, al quale ne auguriamo molti, molti di più di lunga vita e successi. Una platea ricca di persone e anime, addetti ai lavori, semplici spettatori – mai semplici perché chi va a Teatro ha un posto riservato e speciale nel mondo – in attesa di rivedere Argan/Gioele Dix nel ruolo che fu di Franco Parenti negli anni ’80, le scene di Gianmaurizio Fercioni, storico collaboratore della compagnia, ascoltare le musiche di Gigi Saccomandi e Paolo Ciarchi, indimenticabile artista, che fu mio maestro di musica durante gli anni della scuola di teatro.
Come scritto, nell’anno del suo Cinquantesimo e a quattrocento anni dalla nascita di Molière, il Parenti dà inizio a una trilogia dedicata al drammaturgo francese partendo proprio da quel Malato immaginario proseguendo poi con Il Misantropo e Tartufo.
Andrée Ruth Shammah propone un Malato immaginario “senza tempo e di tutti i tempi”, privo di convenzioni, in tensione continua, costruendo con la parola e la sua densità tragicomica, un doppio livello di angoscia esistenziale e gioco teatrale. Un omaggio al grande attore, ma anche una necessità della regista di riprendere oggi il “suo” Malato per rappresentare le fragilità dell’uomo, la consapevolezza del disagio, del bisogno di difendersi dal mondo esterno e di fuggire le responsabilità dell’esistenza, in una consonanza col presente, con l’irreversibile condizione della perdita di fiducia in se stessi e nei propri simili.
Gioele Dix affronta ancora, essendo stato già protagonista della pièce nell’allestimento del 2015 che registrò allora un mese di sold out, il complesso ruolo del malato con ironia e semplicità, intenso quanto basta, leggero nei toni, cucendosi addosso una seconda “maglia di lana”, calzettoni e palandrana a coprire i reni – probabilmente già malati – oltre lo stomaco.
Come si riduce un uomo incapace di prendere decisioni? Un uomo che si nasconde alla vita, ai suoi percorsi, ai problemi ed alle sue gioie. Si riduce come Argan, tra purghe e medicine, affidando ai medici la propria salvezza interiore senza ascoltare i suoi affetti, interessato egoisticamente alla sua salute tanto da obbligare la figlia a sposare un medico stupidotto figlio di altrettanto stupidotto professore, ben caratterizzato da Francesco Brandi, così da avere in casa un’ancora di salvezza medicale più che una figlia sposata felicemente al suo innamorato. Uno stuolo di medici confusionari ed egoisti, come quelli che chiamò la Fata Turchina per Pinocchio, si fanno avanti nella vita di Argan come fossero angeli custodi, innovatori della salute, amici del malato finché, grazie al gioco ingegnoso e divertente dell’ infermiera badante interpretata da Anna Della Rosa, il nostro malato scopre chi gli vuole veramente bene, facendo cadere inesorabilmente giù come un castello di carte la finta verità che lo accompagna: una moglie disgustata, medici ragionieri, medicine ingannatrici e dannose, inutili.
Che tutto questo sia da monito a chi nasconde dietro ingannevoli malattie la propria incapacità di prendere decisioni pensando che l’uomo non potrà mai farcela senza l’aiuto della medicina? Si, che lo sia. Perché come nell’attenta regia di Andrèe Shammah, Argan focalizza tutti i suoi mali come scusa per non affrontare la vita, così Beraldo, il fratello di Argan risponde con intelligenza alla domanda del malato:
Argan: Che cosa si deve fare quando si è malati?
Beraldo: Niente, fratello. Bisogna stare in riposo, nient’altro. La natura, quando la lasciamo
fare, se la sbriga da sé e corregge a poco a poco il disordine in cui è caduta. È la nostra inquietudine, la nostra impazienza che rovina tutto; quasi tutti gli uomini muoiono dei loro rimedi, non delle loro malattie.
E’ l’ignoranza che uccide, non la vita e le sue difficoltà.
In scena fino al 23 ottobre 2022
IL MALATO IMMAGINARIO
di Molière
traduzione Cesare Garboli
regia Andrée Ruth Shammah
con Gioele Dix,
Anna Della Rosa
e con Marco Balbi, Francesco Brandi, Fabrizio Coniglio, Piero Domenicaccio, Filippo Lai, Viola Magnone, Silvia Giulia Mendola, Pietro Micci, Marina Occhionero
scene e costumi Gianmaurizio Fercioni
luci Gigi Saccomandi
musiche Michele Tadini e Paolo Ciarchi
aiuto regista Benedetta Frigerio
assistente allo spettacolo Diletta Ferruzzi
scene dipinte da Santino Croci e Federico Carrassi
direttore di scena Paolo Roda
elettricista e fonico Gianni Gajardo
sarta Paola Landini
amministratrice di compagnia Carla De Gasperis
scene costruite da Tommaso Serra presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati dalla sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
produzione Teatro Franco Parenti