24 Agosto 2024

Borgio Verezzi: “paese del teatro tutto l’anno”

Così lo vorrebbe Maximilian Nisi, direttore artistico del festival teatrale del comune ligure. Che dice a Fabrizio Lopresti: “Per avere seguito, bisogna interpretare le evoluzioni del pubblico”.

24 Agosto 2024

Borgio Verezzi: “paese del teatro tutto l’anno”

Così lo vorrebbe Maximilian Nisi, direttore artistico del festival teatrale del comune ligure. Che dice a Fabrizio Lopresti: “Per avere seguito, bisogna interpretare le evoluzioni del pubblico”.

24 Agosto 2024

Borgio Verezzi: “paese del teatro tutto l’anno”

Così lo vorrebbe Maximilian Nisi, direttore artistico del festival teatrale del comune ligure. Che dice a Fabrizio Lopresti: “Per avere seguito, bisogna interpretare le evoluzioni del pubblico”.

Maximilian Nisi, attore ma soprattutto uomo di teatro, è stato nominato nuovo direttore artistico del Festival di Borgio Verezzi quest’anno – evento che lo ha visto tempo addietro anche sul palco della famosa piazzetta del borgo ligure – e conclusosi pochi giorni fa.

Maximilian Nisi, attore e regista teatrale, formatosi alla scuola di Strehler e di Ronconi, il nuovo direttore artistico del Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Quest’anno è subentrato alla carica tenuta da Stefano Delfino per 22 anni.

Nisi, questa edizione 2024 ha avuto una programmazione varia ed interessante, il pubblico ha risposto bene. Che bilancio traccia?

“Il bilancio è senza dubbio positivo. Esiste una crisi del cinema, della televisione, ma non del teatro”. 

Il teatro siamo noi, sembra una frase fatta ma non lo è. Cosa ne pensa?

“Il teatro è lo specchio di ciò che siamo, dei tempi e del mondo in cui viviamo e ovunque ci sia una società umana non può che manifestarsi, ma è fondamentale un’organizzazione che se ne prenda cura. Il teatro fa parte della nostra vita. E’ un luogo di incontro, di confronto, di comunione, di conoscenza, di approfondimento e di identità collettiva. Grazie ad esso, nutriamo le nostre anime”.

Un grande lavoro anche da parte delle istituzioni.

“L’amministrazione comunale, in questi mesi, oltre a darmi fiducia mi ha dato una grandissima mano. Abbiamo lavorato sempre in armonia, coesi, rivolti in un’unica direzione, ma le risorse umane ed economiche disponibili, in questo momento, sono appena sufficienti a garantire la sopravvivenza del festival.

Bisogna quindi costruire ponti, ricostituire relazioni umane utili, importati che si sono perse nel tempo. Tutta la comunità di Borgio Verezzi dovrebbe avere un unico scopo, quello di salvaguardare un bene comune, un patrimonio collettivo, con un lavoro artigianale condiviso. Rispolverare lo spirito degli albori.

Perché è importate, ad esempio, promuovere tutte quelle attività, meno facili, che non potrebbero andare avanti per conto loro, che farebbero la differenza e migliorerebbero la qualità”.

Quali potrebbero oggi essere gli “ingredienti” per condurre ed incrementare l’interesse verso un festival importante come quello di Borgio Verezzi?

“Stimolare la stampa e la critica teatrale. Curare i social media. Chiedere collaborazione alle organizzazioni teatrali e alle stesse produzioni che il più delle volte delegano il discorso della promozione e si limitano a valutare i risultati al botteghino. E poi c’è il discorso del pubblico che mi sta molto a cuore.

Interpretare il pubblico, investigarlo, capirlo, per rieducarlo. Lavorare per la sua evoluzione: dall’impulso all’emozione e dall’emozione al sentimento.

La ricerca, l’individuazione di un pubblico è fondamentale, perché permetterebbe un ricambio generazionale che in questo momento non c’è e questo sarebbe fondamentale per la sopravvivenza del Festival, come quella del teatro in genere.

Per creare nuovo pubblico bisogna avere coraggio. Se si tende alla sopravvivenza non ci sarà mai innovazione. L’innovazione mette in pericolo la sopravvivenza, non potrebbe essere altrimenti. Solo negare le forme esistenti riconosciute, praticate, dà modo di avvicinare un pubblico nuovo. Non bisogna aver paura della fine della sopravvivenza”.  

Organizzare una programmazione festivaliera è un grande impegno.

“Essere alla direzione di un festival teatrale è un’avventura complessa. Più complessa della direzione di una stagione teatrale. Il periodo di espressione di un festival è limitato e solitamente si svolge in un contesto anomalo. L’estate. Stagione che porta pubblico certamente, ma un pubblico assolutamente vario, non identificabile, e anche quello che a teatro non va mai. Quindi le scelte devono essere valide per chiunque decida di acquistare un biglietto. Sarebbe facile pensare innanzitutto al botteghino e il compito diventerebbe subito meno arduo. Ma se si vuole rispettare teatro e pubblico si deve puntare anche alla cultura espressa ad un livello che non deve abbassarsi per favorire gli introiti. E poi una cultura teatrale non è in generale fatta di nomi televisivi e di risate facili. Anche se non si può certo fare di tutta l’erba un fascio. 

Nel teatro il pubblico deve ritrovare quella bellezza di cui sente nostalgia, rivendicarla, celebrarla. Per questo è importante che non sia soltanto pura evasione. L’epoca non predilige la cultura, ne parla molto, ma perseguirla è opera di sacrificio e audacia, oltre le tentazioni del troppo facile sempre. 

Trovandomi tra le mani un festival che ebbe prestigio e al suo nascere persino unicità o quasi, non essendoci il tripudio festivaliero dei giorni nostri, ho cercato di comporre un programma misto. Ma ciò che mi attrae è la potenzialità. Non solo del festival, ma per non lasciare nei secoli invariato un fatto, ma stare appunto nel futuro, che questo evento non resti incastonato qualche giorno e semplicemente poi ritorni l’anno successivo. Come le Olimpiadi o il circo. Qui c’è una potenzialità differente”. 

E il borgo? Come far innamorare ancora di più questo luogo? Che futuro potrebbe avere?

“Questo piccolo luogo non intaccato dall’evoluzione dei tempi proprio per la tradizione teatrale portata avanti nei decenni, oggi meriterebbe un salto generazionale. Il teatro che cresce. Proprio oggi che il pubblico non lo predilige, perché troppo occupato a guardare sé stesso sui social? Sì. Qui si può. 

Questo è o, meglio, sarebbe, il luogo ideale per dire il teatro c’è. Ha una magnifica platea naturale, ma ha altri punti scenografici, le cave, altre piazze, il Torrione e non ultime: le grotte. Ha però anche un teatro in muratura, Il Teatro Gassman, ad oggi utilizzato a singhiozzo e soprattutto senza una regolare programmazione. E allora questo piccolo paese reso famoso dal teatro, che presenta foto del passato con i volti dei nomi che hanno reso famosa la recitazione nel mondo, dove la gente si ferma a leggere e ammirare lungo le sue strade, potrebbe diventare il paese del teatro tutto l’anno”.

Come? 

Con una programmazione coerente e studiata ma soprattutto con un progetto-offerta multidisciplinare. Gemellaggi con altri teatri, altri Festival. Un progetto che ospiti durante l’anno, o almeno a ridosso del Festival, testi inediti. Giovani drammaturghi per giovani interpreti per un Teatro Off. Provini, incontri dall’Europa.  Un concorso. Ma anche testi poetici e di canzoni.  L’arte di fare Teatro, di scriverlo.Di raccontarlo. Di disegnarlo. Alcuni personaggi che raccontano la loro storia. Uno stage di scrittura drammatica. Letture di autori famosi in tutte le biblioteche. L’ arte di raccontare.

E tanti eventi che al Festival offrano la possibilità di essere un fulcro e non un episodio”. 

Come accade nei teatri europei: non soltanto un palco ma un vero luogo di Cultura che va oltre la rappresentazione serale.

“Un vero centro di sponsorizzazione per il Teatro. Che ritornino ad essere quel grande patrimonio culturale che è stato è non può offrire fidelizzazione se non con una cura costante che vorrei proporre sorretta da tutta la mia esperienza, ma soprattutto per l’amore che ripongo in questo antico e immortale modo di comunicare storia e sentimenti, genio e vita che è immortale: il Teatro. Premiare i progetti con obiettivi di crescita sociale per tutto il territorio. Una funzione attiva del Teatro nel tessuto sociale non è un miraggio, un sogno. Certo, bisogna ripensare a quale sia realmente la sua funzione, sono stati fatti tanti errori in questi anni, molti anche da noi, addetti ai lavori”. 

Quali percorsi, quali strade battere allora?

“Bisogna sicuramente cercare nuove strade per favorire un’aggregazione atta a ridefinire cosa in realtà, tutti noi, vogliamo dal Teatro. E bisognerà assolutamente tener conto che i risultati di un lavoro simile non potranno mai essere immediati.  Per ricevere bisogna dare molto, diceva Strehler. Credo non sbagliasse”.

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Fabrizio Lopresti

Fabrizio Lopresti, autore, giornalista e regista, nonché attore della famosa sitcom “Sensualità a Corte”. Viaggiatore di cultura, per la rubrica culturale di The Way Magazine tratta di tutto quello che potrà nutrire l’anima. Festival, rassegne, cinema, mostre, libri, viaggi interspaziali e musicali. Tutto in prima persona, vivendo quel momento per raccontarlo ai lettori. “Perché la cultura sociale ci aiuta a vivere meglio, ci aiuta a diventare persone migliori”, dice.
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