Vive e lavora tra Città del Messico e Madrid ma ha portato il suo crudo realismo al PAC di Milano di persona qualche settimana fa. Teresa Margolles, vincitrice del Prince Claus Award 2012, è un’artista che lega la sua fama al turbolento Messico, la sua patria che ha rappresentato alla Biennale di Venezia nel 2009.
Nella gallery vi presentiamo le opere dirompenti che secondo noi vale la pena vedere alla mostra milanese, che è visibile fino al 20 maggio. Margolles è abile nel punzecchiare lo spettatore della sua arte, di rivoltare le coscienze degli occidentali, nel denunciare le peggiori e cruente realtà dei paesi in via di sviluppo. Ogni rappresentazione provocatoria della vita (e della morte) che non vogliamo guardare, è un pugno allo stomaco.
MUNDOS – Le lettere al neon che sono state prese da un bar di Ciudad Juàrez prima della demolizione per il risanamento urbano. Sono sei metri di riflessione: che sono i mondi che abitiamo, che confine c’è tra il primo e il secondo (o terzo?) mondo che la cittadina simboleggia, accavallata tra Messico e Usa?
LA GRAN AMERICA – Dozzine di migrandi dal Centro America che muoiono per attraversare il Rio Grande per arrivare al sogno a stelle e strisce. Nel 2017 queste disgrazie sono aumentate e quest’opera è come un memoriale.
VAPORIZACION -Uno strato di vapore acqueo offusca la stanza che è avvolta in una penombra surreale. Il vapore penetra nel corpo. C’è morte lì dentro: i lenzioli usati per avvolgere persone morte in Italia a causa di Violenza sono stati immersi nell’acqua che è spruzzata nell’ambiente.
PM10 – Questa è l’opera più pop di questo corpus ma la violenza e il male serpeggiano anche qui. Le copertine del quotidiano di Ciudad Juàrez (313 in tutto) parlano di omicidi e traffici illeciti. Non è fiction ma l’estetica dei lanci-stampa e delle foto truci è ammaliante.
PISTAS DE BAILE – Ogni luogo di lavoro di un transessuale è rappresentato in queste foto luminose dalla desolazione truculenta. I resti sono sullo sfondo, l’umanità è rappresentata davanti, mai in primo piano. Come se il dolore del ricordo fosse ancora doloroso anche nell’atto della rappresentazione.