La destrutturazione dei dettami imposti dalla moda passa anche dalle tecniche. Il brand Simon Cracker è un progetto di Filippo L.M. Biraghi e Simone Botte, dove “Crack” è il suono di qualcosa che si rompe ed è il concetto da dove parte tutto: rompere qualcosa che già esiste e dargli una nuova vita. E questa “rottura” la si trova ancora oggi nella presentazione della collezione primavera-estate 2025.
Nato nel 2010 da un’idea di Simone Botte, art director, stylist, ricercatore di tessuti e tecniche di stampa, come progetto di abbigliamento upcycled, Simon Cracker ha poi inglobato nel 2020 Filippo L.M. Biraghi, editor, giornalista, buyer e docente di cultura della moda e il brand entra nel mainstream, partecipando a Who Is ON Next?, Altaroma e dal 2021 nel calendario ufficiale di Camera Nazionale della Moda Italiana.
Approccia la moda da un punto di vista divergente, “ci piacciono le individualità e non gli stereotipi, i nostri valori sono legati ai limiti di mezzi che stimolano la creatività, vogliamo restituire ai vestiti un valore che non sia meramente economico ma soprattutto comunicativo” dicono i due creativi dietro il marchio. La scelta dell’upcycling non è legata a un’estetica ma a un obbligo che sentino nei confronti del mondo. Anche per questo la narrativa cambia in ogni collezione, i vestiti sono senza stagione né sesso.
La questione di principio crea un corto circuito nella comunicazione e nelle relazioni interpersonali: quando viene giocata questa carta, che prevarica anche il buon senso, porgiamo al nostro interlocutore un contenitore vuoto e creiamo un ‘nodo’ comunicativo difficilmente districabile. Non vogliamo essere ‘politici’ nel nostro racconto, ma abbiamo sentito l’esigenza di raccontare metaforicamente uno stato di cose: oggi non utilizzare qualsiasi mezzo (moda compresa) per accendere un pensiero critico sarebbe un atto criminale.
Gli stilisti dicono: “E sono proprio i nodi che abbiamo usato come tecnica sartoriale per dare concretezza al nostro pensiero, illuminati dal libro ’Nodi’ scritto dallo psicologo Ronald D. Laing nel 1970: gli abiti sono stati creati quasi esclusivamente annodando: lembi di tessuto, coulisse, stringhe e lacci che danno contemporaneamente un senso di unione e ornamento ma anche di costrizione.
La collezione è strutturata in quattro colori ‘nervosi’, oltre al nero assoluto le sfumature del blu marino, del verde acido e del viola, sviluppando l’effetto di tintura ‘sbagliata’ iniziato con la scorsa stagione”.
Oltre ad aver adattato calzature dell’ultimo collezione DR. Martens, sono stati usati anche capi AUSTRALIAN, storico marchio italiano di abbigliamento da tennis prima e oggi sportivo nell’accezione più ampia (e con un piede anche nella club-culture). Il brand ha dato accesso a un deadstock di capi semi-assemblati e tessuti per i nostri pezzi upcycled. Inoltre, insieme al team creativo del brand abbiamo sviluppato una capsule di capi tecnici neri/neon, per la prima volta riproducibili, che faranno anche parte della main-collection Australian estate 2025.