African Catwalk è come un viaggio di confronto con quello che immaginiamo lontano e inconcepibile. Perché agli occhi degli occidentali, l’obiettivo di Per-Anders Pettersson ha catturato l’inammissibile voglia degli africani di avere una vita e una coscienza estetica al di là delle tragedie che affliggono il continente.
Inammissibile per noi che viviamo da questa parte del mondo. Le 75 immagini inedite selezionate da Per-Anders per il libro e in parte la mostra alla Galleria Carla Sozzani di Milano aprono uno straordinario scenario sull’ African fashion world che è una delle realtà produttive più in rapida ascesa del continente. “La contraddizione dell’ambiente e delle facce ritratte – ci ha detto Per-Anders Pettersson alla presentazione del libro African Catwalk – è un modo per fare luce su una parte d’Africa che non si conosce, l’ho potuto fare perché vivo in Africa da anni e conosco quello che va e che non va. Ho scoperto per caso l’esistenza delle fashion week sudafricane, proprio vicino casa, perché è lì che vivo”.
Il fotografo svedese, che in passato ha vinto premi prestigiosi per i suoi reportage a sfondo sociale (World Press Photo, PDN, POY, NPPA, CARE, CHIP, Unicef Photo of the Year, American Photography, Commarts) si è messo in viaggio partendo dalla Soweto Fashion Week e la Johannesburg Fashion Week e ha cercato nuovi spunti per raccontare l’Africa al mondo. Il backstage della moda emergente africana viene documentato in quindici diversi paesi africani tra il 2010 e il 2015. Un periodo cruciale, quando le sfilate stavano diventando popolari tra la classe media nera emergente e d’elite: “Dopo aver fatto tanti reportage sui rifugiati, le epidemie e le tragedie che si sono verificate qui, appena mi sono accorto che le settimane del fashion stavano diffondendosi in tutto il continente mi sono dedicato a questo progetto, viaggiando e scoprendo. Ci ho lavorato negli ultimi 5 anni. È una nuova storia che pochi conoscono, nemmeno io ne ero a conoscenza, ed è una ricreazione in mezzo a tante difficoltà”.
Il problema è capire se l’Occidente è interessato davvero a capire cosa sta succedendo in quei posti aldilà dei cliché e se questo lavoro davvero meticoloso di Pettersson può servire anche da apripista culturale. “Beh, sono cosciente che non è il primo punto delle agende degli occidentali – ci dice Per-Anders – anche perché per anni ci hanno cibato di storie di tutt’altro genere. Ma sto notando un cambiamento, specie ovviamente tra le persone con cui lavoro, il turismo ha fatto molto per svelare nuovi aspetti. C’è un cambiamento graduale, anche perché è difficile rappresentare nell’immaginario delle persone che non ci vivono un continente così immenso. Bisogna ricordarsi che ci sono 54 paesi diversi in Africa”.
Nel libro, le foto sono accompagnate da testi di Simone Cipriani, fondatore del ITC Ethical Fashion Initiative, United Nations, Allana Finley, African Fashion Strategist, Alessia Glaviano, Vogue Italia e L’Uomo Vogue Senior Photo Editor e della designer Stella Jean. Ma lo scatenarsi delle emozioni della visione delle fotografie dal vivo è impressionante: “A me piace molto, anzi mi affascina, verificare lo shock delle persone che non hanno idea di quello che fotogrago. È una reazione davvero sorprendente, quasi non credono che ci possa essere un tale senso dell’estetica in Africa”.
Per-Anders Pettersson non si esprime volentieri sulla differenza di senso di stile tra gli occidentali e gli africani, si capisce che non è il fulcro del suo interesse per questo tipo di racconto. Ma ne evidenzia altre: “Molte differenze sono nelle tradizioni, nell’eredità di un conservatorismo degli atteggiamenti che pervade anche il fashion system africano. Perfino le modelle sono conservatrici, perché temono il giudizio delle famiglie o degli amici. Può creare dei problemi un atteggiamento del genere, perché si precludono dei lavori all’estero. Penso alla difficoltà a posare in costume da bagno o cose simili. E molti al di fuori del loro sistema non capiscono queste barriere”.
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