Ced Pakusevskij mi riceve nel suo studio milanese, un loft sospeso tra i palazzi di zona Ripamonti, con la semplicità dei grandi. Penso che di qui passa ogni tanto Jovanotti per complimentarsi con lui per i video che gli prepara per gli avveniristici tour (quello del 2015 premiato per i visuals da Assomusica).
Se immagino che da questa scrivania nascono le idee per le sigle tv più premiate degli ultimi anni, mi assale l’irrefrenabile voglia di riconoscenza che si tributa ai grandi creativi. Ced, con sua moglie Elisabetta Giovi che si occupa di lavori di moda, hanno fondato FullScream Studio nel 2011 col preciso intento di ristabilire qualità e ricerca nella motion graphic in Italia, e non solo. Se c’è una grafica accattivante in tv negli ultimi tempi (James Bond per Rai, 1992 per Sky, i promo di DIESEL, PITTI, DUCATI, Dolce&Gabbana solo per citarne alcuni) è probabile che sia nata nel posto in cui siamo seduti.
Al PromaxBDA, l’Oscar del branding televisivo, ha vinto sia il primo che il secondo posto in Europa nella categoria The Best Opening Titles – miglior sigla televisiva – con il programma dedicato al seriale James Bond, un progetto commissionato da Rai- Radio Televisione Italiana. Ced oggi ha 38 anni e oggi vuole parlare del suo mestiere, del suo legame con l’arte grafica italiana e dello stato dell’arte dei visual nell’era dei social media.
Con che spirito affronti il tuo lavoro, specie considerando tutti i premi che vinci?
Essere veramente creativi oggi è andare contro corrente. Sono in Italia da 13 anni e son passato dall’essere studente al Politecnico a diventare motion graphic designer in un momento in cui molti miei colleghi erano specializzati in alcune aree ma non seguivano i lavori fino alla fine. Io partivo dalle idee, facevo la direzione artistica, lavoravo con animazioni in 3D. Questo mi è valso l’inizio con Sky Cinema, da motion designer, per il programma Cinemaniaco di Gianni Canova che poi ha vinto un premio a New York. E poi il passaggio a Mtv.
Da artista pensavi alla tv come mezzo di espressione fin dall’inizio?
La tv è il mezzo che mi permette di fare le cose che mi piacciono, usa il video, la grafica e l’audio. Anche quando studiavo all’accademia di belle arti, come part time in Serbia lavoravo in una tv locale. In una tv piccola puoi andare anche in studio e osservare l’editing e il lavoro dei cameramen. Con le schede matrox che si impallavano a quei tempi, trovavo anche nelle difficoltà comunque un modo per fare quello che volevo.
Cosa pensi del momento di “abbuffata” di immagini che viviamo ora?
Ho fatto anche dei lavori musicali per i video, la grafica è cambiata molto, ma nella comunicazione visiva non esiste un prodotto finito che prendi dallo scaffale, gli cambi la dimensione, metti logo e la cosa funziona. Il cliente non deve comprare il prodotto, ma l’impegno della persona che realizzerà il prodotto. Il rischio oggi è che siamo davanti a un oceano di immagini bellissime, tecnicamente perfette, ma prive di senso, messaggio e emozioni.
Raccontaci della tua esperienza a Mtv, che ti è valsa molti premi.
Son passato a Mtv Italia per sigle dei programmi come Black Box e poi siamo diventati hub del sud Europa, lavorando anche per Francia o Portogallo e facevo anche ident branding, animazione con logo di Mtv. Questa è la cosa più incredibile per me che ero cresciuto guardando Mtv che trasmetteva in Serbia da Londra via satellite. Ero al centro di un’esplosione di creatività, un sogno che si avverava. Ho fatto la grafica per Mtv Europe Music Awards con un team internazionale, con un budget che permetteva cose in grande. Sinceramente dopo un po’ un creativo però ha bisogno di cambiare, nonostante la pioggia di premi che ricevevamo, mai una densità simile. Nel mio ufficio con tre persone sono arrivati in poco tempo 30 premi. Ho lavorato con Roberto Bagatti come direttore creativo, che oggi è in Rai, con uno scienziato di fisica che lavora in modo sperimentale per degli shooting pazzeschi.
Poi hai avuto la parentesi americana. Cosa ti è rimasto?
Ho vissuto A Los Angeles per poco più di sei mesi e ho capito come si lavora con tanti soldi. Ho lavorato con Roger Studio a contatto con Universal e Spike Tv e poi Super Fad che ha fatto cose per Samsung. Ma non era un ambiente che faceva per me. Lì è diversa la situazione, c’è molta segmentazione, non puoi seguire progetti dall’inizio alla fine. Se sei bravo a fare design fai solo quello. Ovviamente gente come Nando Costa ha insistito e dopo qualche anno riesci a fare tutto a livelli enormi. Ma sono troppo europeo e la città era alienante e ho deciso di tornare a Milano. Quando gli europei sentivano i miei budget ridevano. Poi qui tutti ti chiamano per fare i pitch, gli incontri dove si stabiliscono le linee guida coi registi e non c’è niente che ti protegga. In America ti pagano per queste idee, qui no.
Dopo l’acclamazione internazionale senti di dover qualcosa al tuo paese?
Ho aperto anche studio a Novi Sad visto che c’è una nuova scuola che sforna nuovi talenti, ma c’è bisogno di accettare molti lavori che non vuoi fare, me ne sono reso conto col tempo. Non mi ha dato la soddisfazione che credevo perché è una corsa a produrre in attesa di fare il lavoro di qualità che arriva. A Milano c’è livello di professionalità maggiore, abbiamo aperto anche a Londra con Charlie Cooper, nipote di John Cooper della Mini Cooper.
Mi dici la soddisfazione maggiore di un lavoro come il tuo?
Anche in questo campo esistono le etichette, se sei molto bravo a fare grafica, ti mettono a fare solo quello, ma a me piace mischiare il girato alla grafica. Quello che faccio io è più regia, come nella sigla di Bond per la Rai, ho inventato il logo 007 sanguinante, ho girato la scena della pistola nell’obiettivo a Cologno Monzese con un modello tedesco. Abbiamo trattato quella sigla come se fosse un film e credimi, per poche manciate di secondi c’è un lavoro pesantissimo dietro. PEr questo sto pensando a un corto, sto lavorando a due idee e per me immaginare un lavoro di 30 minuti è un territorio nuovo. Non è solo un lavoro grafica o post-produzione, facciamo già ora grafica con regia e creatività. Prendi la sigla per i 100 anni del Giro d’Italia. Dovevamo studiarla per 7 programmi, senza usare immagini perché volevamo che venisse fuori l’ispirazione alla grafica vintage italiana, un’occasione per celebrare lo sport. Due anni fa ho fatto giro in montagna che è stata una delle esperienze più belle della mia vita e ho riversato in quella sigla tutta la mia ammirazione per la disciplina.
Della grafica italiana cosa ti attira di più?
La grafica italiana senza essere vecchia è sempre attuale. Tutto discende da Bruno Munari, sono un fan di tutte le cose che ha scritto, del rapporto tra designer e artista, la relazione tra l’industria, la progettazione, le possibilità e i limiti della grafica, è un modo di pensare da cui scaturisce tutto quello che si fa oggi, dal product design alla locandina. Anche chi è chiamato a immaginarsi un nuovo Guerre Stellari e deve inventare un nuovo mondo può tornare ai libri di Bruno Munari e trovarci ispirazione.
Pensi che sia celebrata a dovere all’estero?
Secondo me non viene riconosciuto abbastanza il ruolo della grafica italiana all’estero, si sa che la moda o i mobili made in Italy sono il top del mondo, ma non si pensa alla grafica. Non so perché, forse il settore dopo gli anni 80 non ha seguito lo sviluppo mondiale. Se penso alla pubblicità forse in Italia è molto concentrata sul prodotto, fai vedere il prodotto che è già estremamente bello, ci metti una bella ragazza e apponi il logo, non ti sforzi molto di sperimentare con la grafica. Le grandi agenzie a Milano, a parte Armando Testa, sono tutte americane. Qui se vedi i cartelloni ci sono sempre bellissime foto ma poca sperimentazione, perché non c’è bisogno di altro, nonostante ci siano molti grafici bravi.
Viviamo ogni giorno uno sfruttamento dell’immagine sui social media pauroso. Che ne pensi?
Non sapevo che Instagram diventasse proprietario delle immagini che posti con 16 dollari. Non so le condizioni, non mi sono addentrato nella ricerca, ma c’è una follia di riproduzione nel web che è molto pericolosa. E questo cambia il nostro lavoro, un cliente ti chiede di proporre un’idea in 2 giorni, prima ti davano un mese per pensarci. A ogni account è richiesto di produrre tre creatività al giorno e non c’è tempo per pensare.
Ora che tutti si sentono grafici e fotografi, come si fa a riconoscere la professionalità?
Trent Reznor dei Nine Inch Nails ha detto che essere famoso sui social media non vuol dire niente. E sono d’accordo. Ci devono essere delle istituzioni, le università, i giornalisti, l’occhio critico che ha visto tanto. Il ragazzino che prende Leonardo e se ne appropria, deve riconoscere che non è una cosa fresca. Ci deve essere un livello di cultura adatto a riconoscere la non autenticità. È come quando lavori per la tv e c’è la pressione per fare soldi e ascolti. Coi social media è ancora peggio, non c’è filtro, almeno in tv c’è una dialettica tra chi pensa delle cose e chi pensa a come posizionarle. I social media agiscono in totale assenza di criticismo, non riconoscono gerarchia. L’insegnante di grafica sta sullo stesso piano di uno studente che ha appena iniziato a esplorare il mondo. Per non parlare delle agenzie e i brand che cercano il talento a basso costo. Il lato positivo è che c’è un avvicinamento all’estetica di tante persone, adesso il ragazzo delle favelas fa vedere il suo lavoro a tutto il mondo, è una globalizzazione che offre opportunità. Tira fuori dall’ombra tante persone, ma ci vuole moderazione, ci deve essere chi dice: non hai inventato niente ma lo hai fatto a modo tuo.