Meissen è in Sassonia, profonda Germania. Lì è nato il sogno napoletano borbonico della procellana. Si potrebbe dire che dal 1700 in poi i maestri dell’arte ceramista dalla Germania hanno ispirato dapprima la Francia, con l’esperienza nobile di Sèvres con lo stile neoclassico, per approdare a Capodimonte, la collina che domina Napoli.
LA DITTA – Dal 1999 Giovanni Carusio è l’espressione dell’esperienza e della tradizione di ben quattro generazioni di ceramisti napoletani, figlio di Giuseppe che per 50 anni lavorà con le allora gloriose fabbriche in loco: Freda, Stile, De Palma, Majello e Mollica nelle quali acquisì varie specializzazioni tra cui modellista, formatore, ritoccatore e fornaciante. Giovanni ci riceve nel suo laboratorio negozio a pochi minuti dalla reggia di Capodimonte, a via Ponti Rossi, nell’ultima fabbrica rimasta su strada con annessa vendita e ci racconta di come si specializzò nella pittura e di come ha gestito il passaggio di business da padre a figlio.
Giovanni anzitutto cosa realizzate in questo posto senza tempo?
Porcellane. La produzione va dalle composizioni floreali per oggettistica e bomboniere a pendenti, orecchini e spille fino all’arte presepiale e arte sacra con anche soggetti mitologici. Abbiamo poi le statuine tra cui Pulcinella, la maschera tipica napoletana con varianti a tema. Lo vedi con la pizza, spaghetti, caffè. E poi i complementi d’arredo: lampadari, lampade e applique, specchiere e quadri.
Siamo in un momento di rivalutazione di quest’arte dopo anni di ricerca affannosa del funzionalismo?
Quella era una parentesi, che tra l’altro non ho capito. Perché il soggetto dall’estetica bella deve per forza servire a qualosa? Dobbiamo educare fin da piccoli i cittadini a rispettare ed emozionarsi davanti al bello, anche se non ha una funzione pratica. Per fortuna ora c’è una riscoperta del saper fare e il disciplinare della legge a marchio C.A.T. – Ceramica Artistica e Tradizionale, ci protegge anche.
Sappiamo che non è però un iter concluso. Perché?
La legge c’è dal 1990 ma il Comune di Napoli, che è titolare del marchio Capodimonte, non ha attuato tutti i codici. Sono cose complesse, ma il tempo passato è troppo. La N contraddistingue la nostra lavorazione qui a Napoli, mentre il Giglio borbonico di Carlo di Borboneè il simbolo ancora più antico, quello dell’inizio della tradizione del 1740. Bisognerebbe trovare un logo che sintetizzi le due origini per non confondere i consumatori.
E i disciplinari in cosa consistono?
Anche se non sono obbligatori noi li seguiamo. La cottura dei colori terzo fuoco a 750 gradi, lo stile di lavorazione, noi ci assicuriamo che la porcellana vetrifichi al punto giusto. Le porcellane di Capodimonte, e la N con la corona che è conosciuto in tutto il mondo arriva dopo e il nuovo marchio dovrebbe sintetizzarli entrambi.
Realizzate anche delle raffigurazioni dimenticate, come quelle degli antichi “Sedili” napoletani. Cosa sono?
Sono i simboli delle contrade in cui era divisa la città dal 1200 in poi, che sono poi scomparse. C’è il sedile di Montagna, Forcella, Nilo, Capuana, porto, Portanuova e quello del popolo. Sono resistiti amministrativamente a Napoli fino al 1800, in alcune statue li riprendiamo, ognuno col proprio colore e disegno.
Questa è l’attività di famiglia e merita un approfondimento, anche sulla storia e sul passato della città. Sono un appassionato di stili antichi, andare avanti significa conoscere l’identità, il passato e da dove si arriva. Io sono la quarta generazione, da parte di mia madre, sempre stato a Capodimonte, come i miei avi che lavoravano in varie fabbriche con grandi manifatture. Ora ho 40 anni e mi sento di fare qualcosa che da oltre 300 anni non è cambiata. Anche nel 700 con Carlo di Borbone e Ferdinando IV, i maestri della porcellana rimanevano sempre in famiglia, così è arrivata ai giorni nostri la tradizione. Pensa che mio padre e mia madre si sono conosciuti da Mollica, la fabbrica più grande della zona che nel 1978 fallì. Persero tutti il lavoro e tutti andarono a costituire altri piccoli laboratori. Anche io per lavoro ho conosciuto mia moglie.
Cosa resta a Napoli del polo di porcellane di Capodimonte?
Al sud c’è molto orgoglio identitario ultimamente, quindi resta la voglia di riscoprire questa lavorazione. Qui c’è la scuola professionale superiore, due fabbriche e un negozio. Oggi imparare il mestiere in bottega è molto difficile e costoso. Prima si andava a 10 anni, figurati.
Ci spieghi che materiale usate?
Si chiama porcellana perché è un materiale diverso da terraglia che è ceramica. La porcellana è il materiale più pregiato. Quello che ci contraddistingue molto è ovviamente il fatto a mano della foggiatura dei fiori, unico nel panorama mondiale. Anche la statuaria è diversa dalle altre, diamo un’idea veritiera dei personaggi, dinamica, infatti i nostri soggetti sono sempre impegnati in azioni mentre avvengono. Ci paragonano a Filippo Tagliolini capo modellatore della fabbrica di Ferdinando IV quando imperava il classico, come Canova. Infatti lui si modellava su quello stile, imitava quelle statue.
C’erano dei veri artisti che operavano a Napoli in quegli anni. Per i presepi e per le porcellane.
Sì erano bravissimi ma separati in questi due filoni. I Borbone si rifacevano a Maissen in Germania e Sèvres in Francia ma Carlo di Borbone era affascinato dal poter fare arte dal gusto e figura nuova. Le altre raffigurazioni erano statiche, qui la bellezza era rappresentata anche dalle usanze del popolo, i mestieri, una cosa che accomuna sia i pastori del 700 che le tradizionali statue di Capodimonte. Pensa che alcuni pezzi vennero fatti da Giuseppe Sanmartino, che nel 1753 ha scolpito il celebratissimo Cristo Velato.
Come è organizzato il vostro lavoro?
Nelle porcellane ogni tipo di lavorazione ha la sua specializzazione: fiore, decorazione pittorica, statuina, ritocco, chi prepara il forno per la prima e seconda cottura. Io vengo da famiglia e salto da un ruolo all’altro. Tutti noi in azienda abbiamo una specialità, anche i titolari hanno il loro mestiere. Noi qui siamo cinque in totale, a un ritmo di lavoro sostenuto, specie in periodi dove la grande richiesta è di bomboniere. In media ne facciamo a centinaia in un mese, ma altrimenti la statua richiede anche 20 giorni. Se qualcosa necessita di essere fatta a misura o su suggerimento del cliente, lo facciamo con tempi più lunghi.
Innovazioni?
Le statue e i fiori sono tipiche. Anche nel 700 ci sono state diverse mode. Dal 1740 in poi c’era il gusto Rococò, arrivato Ferdinando IV imperava il gusto neoclassico. Questa delle innovazioni è un punto dolente tra le aziende e le istituzioni che ci dicono che dobbiamo trovare soluzione per il declino, che per me è solo economico, non certo artistico. Ci suggeriscono di affidarci ai designer esterni. Ma così finisce la nostra creatività, perché dovremmo fare un prodotto che ha ideato un altro?
La tua idea di innovazione, allora?
Innovazione non vuol dire per forza rivoluzionare il prodotto. La forma astratta non va bene, non è identificata con Capodimonte. Possiamo però fare modelli moderni con dettagli che rimandano alla tradizione. Come i nostri diffusori di ambiente, i vasi che hanno degli elementi di riconoscibilità. Un’altra evoluzione sono le half doll, servono le appassionate di ricamo che le rivestono e ricamano la stoffa. È un successo perché le mezze bambole ci sono in tutto il mondo, ma la dinamicità con le dita staccate, le braccia staccate, i movimenti naturali la sappiamo fare solo noi.
E là si vede la vostra bravura eccelsa, Giovanni. Per noi che vi guardiamo, voi siete artisti a tutti gli effetti, con le mani fate arte ogni giorno.
Sì ci lavoriamo di più e c’è più professionalità. Però questo successo delle mezze bambole non è una cosa nuovissima, devo dire, riprende anche il trend della regina di Sassonia che rivestiva i pastori. Abbiamo fuso il passato portandolo in un altro mercato dove prima non c’eravamo.
E i gioielli?
Il gioiello l’abbiamo sempre fatto, adesso ci studiamo colori e forme per abbinare pezzi a delle pietre dure e argento. È fragile perché è porcellana pregiata, oltre a essere bella. I colori vengono abbinati con le pietre, qui entra in campo mia moglie Rosaria.
Fate anche edizioni celebrative.
Ritornare a riscoprire e omaggiare il passato è un nostro segno distintivo. La testa di cavalo di Carafa, del Cinquecento, è tornata recentemente d’attualità perché la nuova direzione del Museo archeologico l’ha messa in bella evidenza. E noi l’abbiamo rifatta in varie dimensioni. Nel 2016 c’è stato il 300esimo anniversario di Carlo di Borbone, l’iniziatore di tutto questo e gli abbiamo fatto una statua dedicata in biscuit, una variante opaca, simil-marmo per effetto, che resta senza colore. Copriamo tutte le epoche. I gendarmi, per esempio, sono ritratti come erano vestiti nel Regno delle due Sicilie nel 1860.
Avete anche una vostra festa?
Il 17 gennaio è Sant’Antonio Abate è protettore dei fornacianti e siccome lavoriamo col fuoco l’abbiamo presa come festa dei ceramisti. Organizziamo l’open day con i clienti e facciamo conoscere la nostra lavorazione.
Ci sono tante declinazioni della vostra bravura. I soggetti della natura, per esempio, sono bellissimi, veritieri.
I passeri, i falchi, i fiori locali ci ispirano molto. Però c’è da ricordare che la flora dell’orto botanico di Napoli non ha nulla di identificativo col territorio perché lì ci sono le specie di tutto il mondo. Gli agrumi invece lo sono. Già sappiamo però quali sono i fiori specifici del luogo, faremo ricerche che contraddistinguono Napoli nella storia e li riprodurremo.
Cosa è più minaccioso, la copia illegale o la stampa 3D?
Non ci fa paura la porcellana con la stampante 3D, forse ci arriveranno ma noi abbiamo il fatto a mano che deve essere cotto con i suoi tempi, bisogna fare lo stampo, ci sarà sempre una differenza. Abbiamo avuto invasione di prodotti cinesi per molti anni e l’abbiamo superata. Le persone ora hanno consapevolezza e ci cercano anche online, siamo ormai tutti delle aziende con il marketing e con un racconto da dover diffondere.
fotoservizio porcellane di Capodimonte Carusio curato da Maurizio De Costanzo per The Way Magazine.