Ci si interroga sempre di più in epoca di condivisione, sul fine dell’architettura. L’ambizione e la fruizione più nobile di questa scienza creativa è al centro dell’indagine espositiva della Biennale di Architettura 2023 appena partita a Venezia.
“Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale – come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La “storia” dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta”, ha dichiarato Lesley Lokko, curatrice dell’edizione 2023. “Ecco perché le mostre sono importanti. Costituiscono un’occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia, il cui uditorio e il cui impatto sono percepiti ben oltre le pareti e gli spazi fisici che la contengono”.

PADIGLIONE CENTRALE – Appesa al soffitto della sala più grande del Padiglione Centrale si trova una mappa a vari livelli che contiene frammenti di tutte le partecipazioni a The Laboratory of the Future e riunisce i progetti del PadiglioneCentrale, Corderie, Artiglierie, Gaggiandre e Forte Marghera. Le modalità di disposizione e la logica degli spazi espositivi sono stati oggetto di molte conversazioni: in questo “telaio” sospeso tra i partecipanti, qui sottratti ai loro contesti, emergono nuove relazioni. In parte copertura e in parte mappa, l’installazione invita il pubblico a are nuove connessioni tra le partecipazioni, razi, le idee e le forme, proprio come di fare la mostra nel suo complesso.

I Terratypes sono dei singolari ibridi scultorei composti di pittura, disegno, collage, incisione e tessuti. Tanoa Sasraku, artista inglese, va alla ricerca di pigmenti terrestri vecchi di milioni di anni in varie località delle isole britanniche – Dartmoor, Jurassic Coast e Highlands scozzesi – strofinandoli a mano su fogli di carta da giornale bianca. Questi vengono poi cuciti, inzuppati e strappati, rivelando strati passati di pigmenti e motivi: l’intersezione trail tempo geologico e la memoria personale. Il processo stesso, che prevede un laborioso ritaglio di modelli, rimanda alle sue origini ghanesi e, in particolare, al suo rapporto con il defunto padre, mentre la frangia che delimita ogni Terratype esprime ‘applicazione tessile unica delle bandiere Asafo del popolo Fante del Ghana costiero, realizzate dagli antenati paterni di Sasraku. Le forme geometriche stampate sulle superfici dei Terratypes fanno riferimento ai circuiti elettrici e al flusso di un’energia profonda e radicata nella terra, mentre i motivi a punto tartan sono influenzati dalla relazione di Sasraku con la propria partner scozzese. Ne risultano oggetti misteriosi, quasi ritualistici, invecchiati da secoli di materialita, che presentano un novo modo di rapportarsi al paesaggio.

PADIGLIONE TEDESCO – TIPEN FOR MAINTENANCE- WEGEN UMBAU GEOFFMET
Open for Maintenance (aperto per manutenzione) non è una mostra, è un modello operativo per una cultura del costruire che guardi oltre lo sfruttamento sconsiderato di risorse e persone. Al centro della scena si trovano
NCE- i materiali di recupero smantellati da più di quaranta padiglioni della Biennale Arte 2022 e una fitta rete di attivisti, sia tedeschi che veneziani si trovano nel Padiglione Germania che fa emergere un lavoro di cura urbana solitamente nascosto agli occhi del pubblico.
Agli occhi del visitatore, una serie di interventi puntuali: una rampa di accesso, un gabinetto ecologico e inclusivo, una sala riunioni, una cucina, un deposito di materiali e un’officina. Gli interventi sono realizzati interamente con materiali di recupero dalla Biennale Arte 2022 e affrontano il tema delle risorse non soltanto dal punto di vista ecologico, ma anche di inclusione urbana e sociale.

PADIGLIONE FRANCESE – Il nome Ball Theater deriva dalla parola ball che indica in inglese un oggetto sferico, e anche un evento in cui si balla. Questo titolo si riferisce alla lunga storia dei balli clan destini, popolari o illegali, e alla ball culture che ha attraversato le epoche fin dalla sua nascita a New York negli anni 20, in risposta al razzismo è all’omofobia. I balli assumono in questa sede la forma di residenze spettacolari aperte al pubblico, che permettono di scoprire cosa si nasconde dietro le quinte del teatro o di assistere a una prova a porte chiuse. E qui che si riunisce, una settimana al mese, un team di artisti, ricercatori e studenti. Ogni ballo diventa l’occasione per trasformare il teatro in catalizzatore di immaginari, mobilizzando voci, suoni, corpi, narrazioni e musica.

PADIGLIONE GIAPPONE – Verso un’architettura da amare, concepire l’architettura come una creatura vivente è l’anima del progetto.
A inizio estate 2023, saranno passati 67 anni dal completamento del Padiglione Giappone, un edificio che nel tempo ha ospitato tante persone, e ancora oggi resiste. Con il tema Architettura da amare il progetto di Takamasa Yoshizaka ha sviluppato una mostra, in un tentativo di ampliare le possibilità e il significato dell’architettura, realizzata inglobando la gestione del paesaggio circostante, memorie e racconti impressi. Per questo partiamo dal presupposto di pensare architettura come una “creatura vivente”.
“Costruire le cose significa trasmetter loro la vita”: sono parole di Takamasa Yoshizaka. Porsi di fronte a un edificio come se fosse una creatura autonoma in cui alberga la vita, non significa misurarne il valore secondo funzione e prestazione, ma riuscire ad averne cura, amandolo con tutti i suoi difetti e incompletezze. Un atteggiamento tollerante verso l’individualità architettonica condurrà il genere umano, flora e fauna verso il riconoscimento mutuale della propria specificità, e di conseguenza a un mondo aperto capace del vero rispetto.

PADIGLIONE GRAN BRETAGNA – Questa rassegna promuove il rito come forma di pratica spaziale, celebrandone l’esclusiva capacità di organizzare e creare spazi. Quando gli spazi non sono progettati per ospitare determinati comportamenti, culture e tradizioni, i riti possono trasformarsi in potenti strumenti di rottura che contribuiscono a occupare e sostenere la diversità del vissuto reale.
Questo padiglione riunisce le creazioni, commissionate di recente, di sei artisti e architetti residenti nel Regno Unito: Yusse Agbo-Ola, Jayden Ali, Mac Collins, Shawanda Corbett, Madhav Kidao e Sandra Poulson.
Attraverso lo studio del materiale e la costruzione, questi oggetti rispecchiano riti e costumi quotidiani legati a diverse ambientazioni e contesti culturali globali: le tradizioni architettoniche delle comunità yoruba e cherokee, la cucina cipriota all’aperto e la musica dei tamburi d’acciaio di Trinidad (Steelpan), la versione giamaicana del domino nella regione britannica dei Midlands, le pratiche spirituali di guarigione nel Sud statunitense, le filosofie induiste e buddiste sulla distruzione e sulla reincarnazione e le abitudini di pulizia di Luanda.
Nel complesso, questi oggetti inquadrano gli atti rituali a cui attingono le diverse culture per comprendere il proprio mondo. Superando i limiti temporali, spaziali e culturali, rispecchiano la terra d’origine e le pratiche ancestrali degli artisti e suggeriscono riflessioni sull’eredità legata alla diaspora delle popolazioni africane, dei Caraibi e dell’Asia meridionale in Gran Bretagna. In qualità di portali spaziali’, propongono nuove valutazioni del passato e fantasie di un futuro alternativo in cui l’architettura è agile, spontanea, e sono le pratiche sociali (piuttosto che quelle economiche) a unire le comunità. Attraverso le loro collezioni e scelte architettoniche, le istituzioni britanniche influenzano da tempo il nostro modo di percepire le culture e le tradizioni riscrivendo, o talvolta cancellando, le basi ritualist che degli oggetti, per sostituirle con nuove narrazioni coloniali. Questa rassegna, invece, è nata per sostenere gli oggetti e i loro riti, elevando le mani e le voci che li hanno realizzati.

PROCESS – Per fare architettura in un contesto di scarsità, di clima estremo e di vulnerabilità economica, ci affidiamo al ‘processo’ di portare in primo piano le narrazioni locali, traducendo in forma architettonica le identità e la storia espropriate.
L’installazione porta in primo piano i precedenti, le narrazioni e le idee situate al centro del lavoro dell’architetto.
Il luogo scelto, Niamey, in Niger, con tutte le caratteristiche ecologiche, economiche e culturali del contesto, rappresenta un laboratorio da cui partire per realizzare un’architettura riflessiva ispirata al passato e al tempo stesso proiettata verso l’innovazione e il futuro. Process è un scontro tra futuro e passato alla ricerca di approcci architettonici innovativi che siano rilevanti per le side di oggi.
L’approccio al progetto di Atelier Masomi attribuisce grande importanza all’eredità culturale, alle narrazioni, all’ingegnosità e all’identità di un particolare contesto. Tramite modelli, video e piante disegnate a mano, Process è un viaggio nel laboratorio del futuro, a Niamey. Scegliendo di disegnare le piante sui muri, Mariam Issoufou Kamara si iscrive nella narrazione del tema di quest’anno, richiamando l’attenzione sulla complessità insita nella semplicità e sull’importanza di camminare con leggerezza su questa terra.

PADIGLIONE USA – Everlasting Plastics, organizzata da Spaces, Cleveland, e co-curata dalla direttrice Tizziana Baldenebro e Lauren Leving, curatrice del Museum of Contemporary Art Cleveland, la mostra prende in esame l’assoluta necessità di riconfigurare il nostro approccio alla sovrabbondanza dei rifiuti di materiale plastico, grazie alle opere in materiale plastico di risulta o riciclato di cinque artisti/designer – Xavi Aguirre (Assistant Professor of Architecture, MIT), Simon Anton (designer di Detroit), Ang Li (Assistant Professor, Northeastern University School of Architecture), Norman Teague (Assistant Professor, University of Illinois Chicago School of Design), Lauren Yeager (scultrice di Cleveland).
I polimeri a base di petrolio, o plastiche, sono stati sviluppati negli Stati Uniti, dimostrandosi materiali rivoluzionari.
Oggi è evidente l’urgenza a livello globale di rivedere il nostro approccio alla sovrabbondanza di rifiuti plastici nei corsi d’acqua, nelle discariche e nelle strade. Esplorando il nostro rapporto con la plastica, problematico ma pervasivo, Everlasting Plastics analizza le modalità con cui questi materiali plasmano ed erodono le ecologie e le economie contemporanee, ma anche l’ambiente costruito. La mostra mette in luce la nostra dipendenza invisibile, dimostra come la plasticità abbia creato aspettative sul comportamento di altri materiali e sottolinea l’impatto scono-sciuto, a lungo termine e indelebile.
Report dalla Biennale di Venezia a cura di Maxim Gattoni, 2023