
Lo studio Zuccon International Project, fondato da Gianni Zuccon e Paola Galeazzi, nel 1984, è al giorno d’oggi riconosciuto come un punto di riferimento per il panorama nautico mondiale.
Questa eccellenza italiana, fin dal principio ha operato sul mercato con una filosofia ben precisa: la fiducia con il committente non sacrifica la capacità creativa, ma la aumenta.
Per questo, in oltre 30 anni di attività lo studio ha all’attivo più di 100 progetti di imbarcazioni disegnati per i cantieri più rinomati del settore. Grazie all’esperienza maturata, nel 2013 Zuccon ha lanciato un nuovo brand, Zuccon SuperYacht Design, ramo dello studio che si occupa esclusivamente della progettazione di super yacht.
Alla guida i due figli dei fondatori, Martina e Bernardo Zuccon.
Bernardo è laureato in architettura a “La Sapienza” di Roma, con svariate esperienze all’estero. Dal 2007 collabora con lo studio di famiglia e dal 2006 è anche protagonista in ambito accademico: è assistente ai corsi di progettazione architettonica presso la facoltà di architettura “Valle Giulia” in Roma.
Da quando hai incominciato a fare design quali sono e come si sono evoluti i tuoi riferimenti stilistici?
Nonostante abbia da sempre naturalmente manifestato una passione per le barche e per il fascino del mare, nasco professionalmente come architetto civile e solo al termine degli studi ho iniziato a formarmi anche nel settore della nautica; c’è stata quindi una naturale evoluzione progettuale in termini di rapporto tra architettura e design, con un costante trasferimento e una fusione di contenuti fra i due settori. Sicuramente la storia dell’architettura, in particolare quella dei grandi architetti del 900′ come Le Corbusier, Wright e Mies, le sue correnti ed i suoi contenuti, sono una fondamentale base teorica e storica dalla quale attingere per affrontare un nuovo progetto.

Come vedi il mondo del design al giorno d’oggi? È sconfinato nell’arte e nella pubblicità?
Oggi si parla moltissimo di design, arrivando in alcuni casi quasi ad un abuso del termine.
Il termine design mai come oggi viene associato alle più differenti sfere professionali, quasi come un accezione che possa in qualche misura conferire maggiore “qualità” ad un prodotto senza però rispondere minimamente ai parametri che ne definiscono il reale significato. L’errore più grande che oggi si commette è quello di escludere dal concetto di design il concetto di funzione. La grande diffusione del design e la tendenza di questo uso a dismisura del termine, ha fatto sì che ci si allontanasse da quello che secondo me è invece l’assunto di base: il design è prima di tutto funzione, l’obiettivo diventa poi trovarne il giusto equilibrio fra funzione e forma. La forma è il risultato di quella che è la necessità funzionale per cui l’oggetto è stato concepito. Nulla è design se non è al tempo stesso funzione.
Tu sei attivo nel mondo della nautica ma non solo; trovi differenze tra i vari settori per cui disegni?
Qualunque sia la destinazione, esiste sempre e comunque un elemento comune: l’uomo.
La storia insegna che è l’uomo a definire e caratterizzare lo spazio in cui vive, attraverso gesti ed abitudini, ed il progettista, a partire da questo dato irrinunciabile, deve necessariamente confrontarsi, in ogni segno che traccia, con questo dinamismo, sulla terra ferma come in mare.
Si deve analizzare, misurare, valutare e comporre lo spazio abitativo basandosi su una ricerca plastica e formale votata ad un principio di semplicità compositiva: l’astuta essenzialità del segno determina la sua semplicità d’uso.
A gennaio hai presentato il concept di un megayacht di 94m, il Teti, mentre altri tuoi progetti sono già andati in costruzione, hai un tuo progetto prediletto? Cosa provi quando vedi una tua creazione prendere vita?
La risposta forse più coerente è che il progetto che preferisco è quello che ancora dovrò fare. Questo perché vivo il mio percorso professionale come un processo in costante divenire, dove il progetto non rappresenta mai un punto di arrivo ma è il mezzo per potersi porre nuove domande e migliorarsi in vista delle esperienze future. Vedere finalmente una delle mie barche entrare in acqua è sicuramente una grande emozione. Al di là degli apprezzamenti che possono derivare dalla visita a bordo di un giornalista o di un cliente, la cosa bella è sapere che la barca è stata acquistata da un armatore che ha scelto di navigare e vivere in base a dei parametri che io stesso ho definito, e che il cliente ha sposato.
Come ti immagini il futuro del design e del design nautico?
Oggi il design come già citato in precedenza investe un po’ tutti i settori, dal lifestyle, al light fino al food design. Questa sorta di globalizzazione del concetto di design testimonia quanto è fondamentale, e lo sarà sempre di più, il ruolo del Designer. In un mondo in evoluzione rapida come quello di oggi il processo di trasformazione del design corre anch’esso velocemente confrontandosi in particolare con l’attualità della cosiddetta “rivoluzione digitale”. In questo processo di costante mutazione il progettista ha il dovere morale di “fornire risposte” ed in qualche modo dimostrare semplicemente quell’affascinante assunto che progettare significa in qualche modo, iniettare nelle cose intelligenza. Vedo un design dove il concetto di “partecipazione” e “specializzazione” saranno elementi chiave.

Che momento stiamo vivendo per questo settore?
Il design nautico ancora e forse mai come oggi soffre rispetto ad altri settori il peso della tradizione; parliamo di un settore conservatore dove il concetto di innovazione ha assunto troppo spesso un significato privo di reale sostanza. Le barche di oggi, o almeno quelle che rispondono meglio al mercato sono molto simili alle barche di mezzo secolo fa, non a caso si sta diffondendo molto la moda del vintage recuperando o rievocando immagini di imbarcazioni storiche. Le sperimentazioni formali che dovrebbero guardare al futuro rimangono troppo spesso semplici idee su carta che non trovano riscontro in un mercato, quello di oggi, quanto mai spaventato dalla crisi finanziaria ed ostile ad accettare il cambiamento. Nostro dovere oggi come progettisti? investire tanto nella ricerca per fornire nuovi scenari e stimoli, mantendosi sempre legati alla tradizione ma moralmente obbligati a rinnovare ed innovare per non fermare il motore del cambiamento; l’innovazione tecnologica oggi ci permette di intraprendere percorsi prima impensabili, con un occhio ormai doverosamente attento alle necessità di un design che sia il più possibile “sostenibile”.
Le richieste da parte dei clienti e i dettami del lusso globale sono, per te, in fase creativa, un limite o uno stimolo? Come si intercettano questi bisogni?
Le richieste dei clienti sono sicuramente uno stimolo perché vanno a definire quello storico rapporto sinergico fra architetto e Principe che è alla base di ogni progetto di successo. È opinione comune dire che il cliente ha sempre ragione; per quanto non sia sempre così, sta però alla nostra capacità e flessibilità riuscire a tradurre in un linguaggio coerente, funzionale e che risponde a determinati parametri, tutti quelli che sono i desideri espressi dall’armatore. Nel nostro settore, in particolare quando parliamo di prodotti interamente custom la barca diventa a tutti gli effetti un abito su misura che l’armatore sceglie di indossare e vuole che sia perfettamente adatto alle sue caratteristiche. Il nostro compito è lo stesso del sarto che con metro e gessetto “plasma” il tessuto sulla fisionomia del cliente. Poi, Il vero successo professionale in nautica è quando l’abito pensato per qualcuno riesce a sposare anche i desideri di un altro cliente perché, nonostante si parli di tailor made, il successo di una realtà produttiva si fa inevitabilmente con i numeri.

C’è un fil rouge riconoscibile per i disegni di nautica made in Italy? Quale aspetto del nostro gusto secondo te ci viene riconosciuto nel mondo?
Si dice che il “Made in Italy”, indicazione di provenienza che definisce un prodotto completamente progettato, fabbricato e confezionato in Italia sia rappresentato da mani eleganti, personalità estremamente creative che trasferiscono un senso di classe e buon gusto al prodotto. Personalmente non ritengo sia definito da una sorta di attitudine innata, credo dipenda piuttosto dalla scuola e da un comune percorso formativo. La testimonianza della nostra popolarità a livello mondiale per quanto riguarda il design in Italia è fondamentalmente una dimostrazione che le nostre scuole nonostante tutte le difficoltà, funzionano. La storia e la tradizione sono il serbatoio di questa rinomata competenza a livello mondiale. Questo ha fatto sì che, come architetti e designer, la nostra immagine all’estero sia ancora considerata un reale punto di riferimento: un grande successo che ha fatto sì, ad esempio, che il nostro settore in particolare non sia stato toccato in maniera troppo drastica dal cosiddetto fenomeno della fuga dei cervelli che ha invece annientato altri ambiti.
Se dovessi indicarci un “simbolo” del made in Italy nella nautica?
Nella nostra esperienza, grande significato ha assunto il progetto del CRN 80 mt Chopi Chopi, varato nel 2013 e diventato in questi 3 anni un simbolo del “Made in Italy”, in quel momento il più grande superyacht interamente pensato, progettato e costruito da maestranze italiane, testimonianza che la nostra cultura, la nostra storia, la nostra scuola hanno ed avranno un grandissimo valore che non dovrà mai essere perso.