Giuseppe Sartori mi aspetta nel cuore del quartiere cinese di Milano in un caldo pomeriggio primaverile. “Non mi abituerò mai alle interviste, alle attenzioni degli altri, perché non faccio questo mestiere per vanità. Forse lo faccio per urgenza“.
Giuseppe Sartori è quello che si può definire un attore contemporaneo completo. Arrivato a Milano da Vidor, piccolo paese della provincia di Treviso, nel 2005, si è diplomato attore tre anni dopo alla Scuola del Piccolo Teatro e da allora lavora stabilmente con la compagnia Ricci/Forte. Il web e i giornali sono pieni di sue immagini molto fisiche, crude, nude. Stefano Ricci e Gianni Forte ne hanno da subito compreso la carica scenica e charme innato da consumato performer. “Per lo spettacolo Wunderkammer Soap mi capita di ripetere per 15 volte la performance di 25 minuti a stretto contatto col pubblico – mi confida – la facciamo generalmente in bagni dei teatri con poche persone a poca distanza. Alla fine davvero mi sento esausto, come se il pubblico mi avesse svuotato di tutto“.
Me lo dice quasi a giustificare la sua ritrosia a parlare di sé. Ma non deve preoccuparsi, noi di The Way Magazine lo abbiamo contattato per chiedergli di illustrarci la sua Milano. “La città mi è piaciuta di più quando me ne sono andato per quattro anni a Roma. Ci pensavo spesso, pensavo a come mi aveva accolto, a quanto era diventata casa mia gradualmente. Io, che resto un ragazzo di provincia, mi sentivo più a casa a Milano che nella chiassosa capitale. E me ne sono tornato qui“.
La giornata di Giuseppe Sartori generalmente inizia presto (“Ho problemi di sonno“), con lunghe passeggiate. “Me ne vado a piedi o in bicicletta, a cercare segni ed espressioni naturali di qualsiasi tipo. Non necessariamente il verde. Mi interessa guardare anche come cambia la città grazie all’uomo. E il mio posto preferito, è un cliché di questi tempi ormai, è da Piazza Gae Aulenti alla Stazione Centrale. Tutto a piedi, passando dal nuovo Palazzo della Regione“.
Per Giuseppe, che ha viaggiato nelle principali capitali mondiali per il suo lavoro, riassaporare quella che considera la sua città d’adozione in solitudine, è un momento irrinunciabile: “So sempre di non rimanerci per molto e la cosa mi eccita. Se ho un mese privo di impegni davanti mi deprimo facilmente. Non so stare fermo, quindi torno a Milano e me la giro come voglio, è un gesto che dà valore al mio tempo qui“.
E quando è all’estero quando preferisce esplorare? “Ma sicuramente la notte. Anche perché è il momento più libero che ho dopo la convocazione in teatro. Ricordo Lisbona, un posto dove vorrei tornare. O la capitale della Moldavia, Chișinău. O Londrina, Brasile: ogni agosto per 10 giorni la città si trasforma in un palcoscenico per un festival teatrale diffuso. E le persone ti si affezionano, ti vengono a vedere, ti vedono per strada e ti chiedono dello spettacolo. Un’esperienza unica“.
Mentre parliamo attraversando la popolare via Paolo Sarpi, anche davanti a me succede di vedere Giuseppe fermarsi a parlare con persone che lo riconoscono. “Abbiamo fatto un seminario insieme” mi dice con understatement. “Sei un personaggio, ormai“, gli dico stimolando la sua timidezza. “Ma che dici! Non mi conosce nessuno!“.
Arriviamo ai bastioni appena a ridosso della Fondazione Feltrinelli in corso d’opera. “Questo è un posto magico per me – dice – , ho 30 anni ma mi piace fare come i vecchietti, controllo i lavori che avanzano, mi incanto davanti ai cantieri. È la città che cresce, che cambia sotto i miei occhi. E poi basta girarsi per entrare attraverso questi bastioni dell’Associazione nazionale combattenti e reduci in un giardino tranquillo e isolato. Vieni a vedere questo glicine in fiore“. Effettivamente il posto è nascosto e magico. E il glicine davvero rigoglioso. Ma allora la natura ti incanta davvero, anche se resti un teatrante notturno? “Certo, ma mi intriga di più assaporarla in piena cementificazione, quandi si riappropria della terra“. Cosa ci fai al circolo dei reduci? “Mi bevo qualcosa e osservo. Qualche volta mangio di fretta per andare al prossimo posto a riparo dalla frenesia“.
Ci arriviamo, un parco giochi recuperato tra l’Arco della Pace e la China Town. “Qui la dimensione è proprio famigliare – dice soddisfatto – a dispetto di quanti pensano che Milano non sia a misura d’uomo“.
Ci ronzano attorno bambini scatenati e adolescenti in skate. Famiglie, anziani, giovani che leggono libri. “Vedi, questo è il momento ideale per la socializzazione. Faccio due chiacchiere, vado al Sarpi Otto a salutare amici. Quello è un posto alla moda ma a dimensione giusta per me, con arredi essenziali e atmosfera riposante. Qui è un paese nella città, per me che arrivo dal paese è tanto. È più facile trovarmi in questa zona che a chissà che festa“. Ma come, Giuseppe, giovane attore in pieno lancio, diserta la movida meneghina? “Preferisco ubriacarmi in compagnia di pochi intimi, se non da solo…ricordati che sono veneto!“.
Sa di piacere al suo pubblico anche per la sua immagine, un perfetto incrocio di magnetismo inconsapevole e asciutto debonair che di italiano ha ben poco. “Spesso mi chiedono se sono italiano.” Diretto, affabile, riservato. E il look come lo scegli? Mi mostra la manica sdrucita stile biker del suo giubbino di pelle. L’ha abbinato su t-shirt bianca basic e combat con boots slacciati. “Ho la fobia dello shopping; troppa offerta, non so scegliere“. Non lo sa, ma con questa risposta ha confermato il nostro sospetto: Giuseppe Sartori è davvero il trionfo dell’eleganza naturale.
Sembra perfettamente a suo agio col suo corpo, che mostra spesso per esigenze sceniche. Proprio perché non vive negli orpelli, e soprattutto, non lo esibisce in casa, nel senso che non appende nessuna evidenza visiva del suo lavoro nella sua dimora, “altrimenti non c’è separazione, devo disintossicarmi. Preferisco abbellire casa con pezzi d’epoca o di design trovati per caso nei viaggi o per strada“.
E la cura del corpo? “Sono curioso di vedere cosa succederà una volta passati i 30 anni ad agosto. Per ora tutto merito di mamma. Pensa che ho una palestra sotto casa ma mi annoio, mi sembra di essere un criceto, i ragazzi si fanno i selfie. Io rifuggo questa mania, ci ho provato a fare i selfie ma non è gratificante. Preferisco i palazzi o gli insetti morti, li trovo più interessanti e li metto tutti sul mio instagram“.
Si è fatta ora di cena, Giuseppe Sartori sa benissimo dove condurci. “La zona dove vivo è il tempio della cucina asiatica. Vado spesso in questo ristorantete cinese all’inizio di Sarpi perchè i camerieri sono molto simpatici.”
Ottima scelta, confermiamo.