C’era un tempo in cui Teheran (Iran) era la frontiera più a est della rinascita culturale mediorientale. Il sogno di un Paese esotico moderato e misterioso, il fascino dello Scià di Persia e la bellezza di donne disinvolte e consapevoli delle loro libertà aveva conquistato il favore dell’Occidente. Prima della rivoluzione del 1979 che ha cambiato per sempre il volto della nazione.
Il passo indietro però dall’anno scorso ha avuto timidi segnali di inversione di tendenza. Missioni dei brand made in Italy e apertura verso i manufatti occidentali hanno riaperto le relazioni tra Iran e resto del mondo. E questo piccolo passo lo si vede nelle costruzioni, nella vocazione al lusso di alcune destinazioni turistiche, dall’orgoglio con cui gli iraniani conservano e vogliono valorizzare i loro 17 siti storici protetti dall’Unesco.
Per questo l’annuncio del divieto di transito agli iraniani fatto da Donald Trump questa settimana ha lasciato sgomenti. A parte il fatto che proprio in California a febbraio avrebbe dovuto trionfare il cinema di Ashgar Farhadi, celebratissimo regista iraniano in corsa per l’Oscar per il suo film Il Cliente.
Ma poi, se la promulgazione di una black list su base geografica sembra anacronistica, lo è ancor di più l’halt all’Iran.
Forse a Trump, neo-presidente Usa in pieno ciclone polemico globale, sfugge che il Paese, dopo la caduta dell’embargo nel 2016, è in corsa per diventare il più grande riferimento per l’export di beni di lusso e di moda. C’è sete di prodotti ben fatti, curiosità per quello che si consuma furi confine e appetito emulativo per la metà dei 77 milioni di abitanti della grande Persia, che vuol dire un vivace esercito di under 30.
L’apertura sta già creando sinergie. L’italiano Paolo Albano ha disegnato un hotel a 5 stelle a Lahijan sul Mar Caspio con la gloria locale Farid Ghasemi. Certo, anche se gli osservatori internazionali lo pongono ormai tra i Paesi con reddito medio-alto (alla stregua di Brasile e Cina, ma ancora distanti dal nostro) non vi parliamo dell’Iran solamente in termini utiliratistici per gli imprenditori italiani che ci hanno visto lungo (Benetton in primis, a Teheran da 10 anni).
L’idea di Iran che è giusto veicolare è quella di scrigno prezioso di una cultura millenaria che per volere del suo presidente Rouni oggi è il fulcro di un probabile boom turistico.
Trump l’ha fatta grossa. Ma non dimentichiamoci di quando il suddetto presidente venne a Roma e all’insaputa dell’allora premier Matteo Renzi furono coperte le statue rinascimentali italiane per “non urtare la sensibilità” dell’illustre ospite. Che in verità non aveva fatto richieste. Si limitò a dire: “Italia Paese ospitale”. L’apertura è in atto, ma meglio non farsi illusioni sulla velocità del cambiamento.
Commenti e opinioni
I segnali ci sono, l’Iran è moderno. Ma Trump lo sa?
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I segnali ci sono, l’Iran è moderno. Ma Trump lo sa?
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I segnali ci sono, l’Iran è moderno. Ma Trump lo sa?
C’era un tempo in cui Teheran (Iran) era la frontiera più a est della rinascita culturale mediorientale. Il sogno di un Paese esotico moderato e misterioso, il fascino dello Scià di Persia e la bellezza di donne disinvolte e consapevoli delle loro libertà aveva conquistato il favore dell’Occidente. Prima della rivoluzione del 1979 che ha cambiato per sempre il volto della nazione.
Il passo indietro però dall’anno scorso ha avuto timidi segnali di inversione di tendenza. Missioni dei brand made in Italy e apertura verso i manufatti occidentali hanno riaperto le relazioni tra Iran e resto del mondo. E questo piccolo passo lo si vede nelle costruzioni, nella vocazione al lusso di alcune destinazioni turistiche, dall’orgoglio con cui gli iraniani conservano e vogliono valorizzare i loro 17 siti storici protetti dall’Unesco.
Per questo l’annuncio del divieto di transito agli iraniani fatto da Donald Trump questa settimana ha lasciato sgomenti. A parte il fatto che proprio in California a febbraio avrebbe dovuto trionfare il cinema di Ashgar Farhadi, celebratissimo regista iraniano in corsa per l’Oscar per il suo film Il Cliente.
Ma poi, se la promulgazione di una black list su base geografica sembra anacronistica, lo è ancor di più l’halt all’Iran.
Forse a Trump, neo-presidente Usa in pieno ciclone polemico globale, sfugge che il Paese, dopo la caduta dell’embargo nel 2016, è in corsa per diventare il più grande riferimento per l’export di beni di lusso e di moda. C’è sete di prodotti ben fatti, curiosità per quello che si consuma furi confine e appetito emulativo per la metà dei 77 milioni di abitanti della grande Persia, che vuol dire un vivace esercito di under 30.
L’apertura sta già creando sinergie. L’italiano Paolo Albano ha disegnato un hotel a 5 stelle a Lahijan sul Mar Caspio con la gloria locale Farid Ghasemi. Certo, anche se gli osservatori internazionali lo pongono ormai tra i Paesi con reddito medio-alto (alla stregua di Brasile e Cina, ma ancora distanti dal nostro) non vi parliamo dell’Iran solamente in termini utiliratistici per gli imprenditori italiani che ci hanno visto lungo (Benetton in primis, a Teheran da 10 anni).
L’idea di Iran che è giusto veicolare è quella di scrigno prezioso di una cultura millenaria che per volere del suo presidente Rouni oggi è il fulcro di un probabile boom turistico.
Trump l’ha fatta grossa. Ma non dimentichiamoci di quando il suddetto presidente venne a Roma e all’insaputa dell’allora premier Matteo Renzi furono coperte le statue rinascimentali italiane per “non urtare la sensibilità” dell’illustre ospite. Che in verità non aveva fatto richieste. Si limitò a dire: “Italia Paese ospitale”. L’apertura è in atto, ma meglio non farsi illusioni sulla velocità del cambiamento.
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Christian D'Antonio
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