Dal 2000 stiamo vivendo un momento storico di grandi cambiamenti economico/sociali che sta generando anche un modo diverso di fare architettura.
La crisi economica, l’emergenza ambientale dei nostri giorni e una situazione politica ed economica di fatto che non consente più programmazioni e investimenti a lungo termine, ci mostrano l’esigenza di cambiare modello di sviluppo ripensando al nostro modo di vivere il futuro in termini completamente diversi dal passato.
Se fino a qualche anno fa il modello era di tipo espansivo, con opere monumentali a caratterizzare questi territori, ora la tendenza è quella di risparmiare suolo e recuperare e consolidare quello che già c’è, valorizzando le caratteristiche dei luoghi e conservandone le tradizioni. Contro l’architettura globalizzata delle archistar, si sta facendo strada un’architettura puntuale pensata per migliorare il normale svolgimento della vita quotidiana e rispondere al crescente desiderio di socialità.
L’idea che si porta avanti è che nell’ottica di ottimizzare le scarse risorse, si senta l’urgenza di migliorare la vivibilità dello spazio pubblico con interventi a scala più ridotta, ma diffusi sul territorio, creati ad hoc per rispondere alle particolari esigenze di chi vive quello spazio. Un’architettura quindi di servizio piuttosto che referenziale, orientata verso una serie di interventi capaci di ricucire tra loro pezzi di città, recuperando spazi e luoghi che sono stati abbandonati quando il contesto storico ne ha cancellato il senso originario. Da ciò si evince quanto l’architettura non sia una scienza a se’, ma debba necessariamente interagire e dialogare con molte altre discipline, fondamentalmente anche quelle sociali ed economiche che interpretano, e talvolta addirittura condizionano, il momento storico che stiamo vivendo.
Quindi via libera a processi di riqualificazione che trasformano e recuperano strutture abbandonate e ad interventi di arredo urbano che trasformano spazi degradati in spazi interattivi ed ospitali capaci di dialogare con i cittadini. Non si tratta più di studiare una bella facciata o una bella panchina, o il solito centro congressi /sala espositiva, ma si tratta di fare in modo che la gente realmente sia attratta da questo posto e sia invogliata a frequentarlo. Si studiano così le abitudini di chi ci vive e si dialoga con loro per capire di che cosa hanno veramente bisogno. Poi si mettono a sistema arte, architettura, design con una serie di attività sia culturali che imprenditoriali che realizzate in maniera creativa (intesa come ideazione, sperimentazione e innovazione) rendono quel luogo un’esperienza unica legata al suo contesto. Alla fine di quest’operazione, se ben condotta, lo spazio recuperato e le attività che vi si svolgono, generano tutta un’economia intorno che porta ad una riqualificazione non è più solo ambientale, ma anche economica e sociale.
Ed è proprio di questo tipo di interventi che mi piacerebbe parlarvi in seguito, perché perso che il cittadino debba essere informato del ruolo sempre più di orientamento che sta assumendo in questi processi e debba prepararsi quindi ad affrontarli con la maggiore consapevolezza possibile.
Grazia Torre
Fondazione Ordine Architetti Napoli
Per info sull’argomento:
The Highline