Adolfo Avena è stato il padre del neoeclettismo partenopeo. A Napoli, nel quartiere “bene” della città, il Vomero, sulla collina che domina il golfo, passeggiando tra le strade oggi si fatica a riconoscere la vocazione residenziale che questo quartiere aveva fino a qualche decennio fa. Pian piano i negozi e le botteghe storiche hanno lasciato il posto alle grandi catene commerciali e da zona residenziale il quartiere si è trasformato in centro commerciale naturale, sempre più simile purtroppo a quelli costruiti ad hoc nelle aree periferiche.
Peccato perché tra le molte costruzioni sorte dall’800 in poi, ce ne sono parecchie degne di nota costruite da valenti architetti come Adolfo Avena, in assoluto il mio preferito. Le sue ville, costruite per una borghesia illuminata, pur rifacendosi all’eclettismo liberty di Arata ne accentuano la componente eclettica in maniera assai ardita per l’epoca tanto che, se i committenti non fossero stati uomini di grande cultura, forse non avrebbero mai approvato.
In realtà il suo stile con la scomposizione dei canoni classici, la rottura di allineamenti e simmetrie ricorda molto da vicino ciò che è successo e succede nei vicoli del centro storico di Napoli dove antichi palazzi da sempre sono stati rimaneggiati con grande disinvoltura sovrapponendo stili, aprendo arbitrarie finestre nelle murature, rompendo archi e architravi. Lui ovviamente lo ha fatto con cognizione di tecniche e stile, innestando forme neoromaniche su quelle neobarocche e arricchendole con elementi dèco e protorazonalisti.
Le sue architetture dalle forme plastiche fatte di sporgenze e rientranze, angoli a 45° e scale curve, bow-window, balconate a baldacchino coperti a tetto hanno un repertorio ornamentale che va dagli archi catalani alle bifore, dalle colonnine in marmo ai ferri battuti e alle bugne schiacciate, che rendono l’opera perfettamente aderente al luogo e protagonista dello spazio che la circonda.
Le due palazzine di P.zza Fuga, Villa Lorely in Via Toma, Villa Catello-Piccoli in Via Cimarosa, l’edificio al P.co Grifeo sono tutte opere che hanno l’intenzione di creare uno stile nuovo manipolando stili tradizionali come nel resto dell’Europa, ma qui l’ispirazione viene dai grandi architetti italiani come Michelangelo o Bramante. Egli riesce a creare così uno stile organico e molto flessibile, che ben si sposa con gli edifici preesistenti e le capacità delle maestranze locali.
La migliore espressione di questo stile è, secondo me, Villa Spera, oggi più conosciuta come Corte dei Leoni, un villino che domina la sommità di Via Tasso, al confine tra il Vomero e Posillipo, costruito nel 1922, come punto prospettico per i viandanti che dal mare e dalla campagna si apprestavano ad entrare in città. Questa villa è un edificio a tre piani, costruita su un pendio e affacciata sul mare con un rapido cambio di altezza tra la parte frontale ed il retro, magistralmente affrontato grazie alla padronanza di Avena nel governare le irregolarità volumetriche. Sul lato mare una bellissima scala a spirale, interna ma visibile dall’esterno, avvolge l’intero edificio ponendosi come invito ad un balcone dell’ultimo piano ispirato alla Casa di Giulietta a Verona (rimaneggiata da suo fratello Alberto Avena ) che qui però, come tutta la villa, assume un carattere piuttosto inquietante. Infatti avvalorate dalla presenza sulla facciata di diversi simboli esoterici, su questa villa circolano numerose leggende, secondo le quali sarebbe stregata ed abitata da fantasmi, cosa che ha contribuito però ad accrescerne la fama e a far sì che spesso fosse utilizzata anche come set cinematografico.
Alla fine, Adolfo Avena racchiude nella sua opera tutte le caratteristiche per cui i napoletani si distinguono e sono amati nel mondo, un esempio a cui volgere lo sguardo per rappresentare quella che oggi viene definita tipicità territoriale, un mix di cultura e tradizione unita ad estro e coraggio nell’uscire fuori dagli schemi.
Foto d’apertura: Villa Spera, l’esempio dell’eclettismo napoletano.