28 Marzo 2020

Come dobbiamo pensare e ripensare le case?

Riflessioni sull'esercizio dell'abitare ai tempi del Coronavirus. E quanto è diverso il nostro ambiente a seconda di quello di cui disponiamo.

28 Marzo 2020

Come dobbiamo pensare e ripensare le case?

Riflessioni sull'esercizio dell'abitare ai tempi del Coronavirus. E quanto è diverso il nostro ambiente a seconda di quello di cui disponiamo.

28 Marzo 2020

Come dobbiamo pensare e ripensare le case?

Riflessioni sull'esercizio dell'abitare ai tempi del Coronavirus. E quanto è diverso il nostro ambiente a seconda di quello di cui disponiamo.

In questi tempi strani in cui siamo costretti a restare in casa per settimane, sto pensando molto al mio lavoro, ai miei progetti, al tema dell’abitare in generale.

Penso ci sia molta differenza nel rimanere in casa quando la casa è in campagna, in una villa con giardino, un appartamento con terrazzo o un monolocale con una solo finestra. Vivendo a Napoli, non posso inoltre non pensare all’enorme quantità di gente che ancora oggi abita nei cosiddetti “bassi”, le abitazioni ai piani terra dei vicoli. Passata questa emergenza forse sarebbe il caso di affrontare finalmente la questione, il dibattito non si può esaurire tra chi vuole trasformare il centro della città in un enorme albergo espellendo la popolazione originaria, e chi invece vuole che questa resti a vivere nei bassi. Possibile che non ci sia una terza via?

Penso che forse ora si rifletterà di più su quali sono le caratteristiche veramente importanti dei luoghi che abitiamo, quelle che ne determinano il reale valore, non necessariamente economico. Spesso sento dire a chi sceglie casa che lo ha fatto perché si trattava di una nuova costruzione o comunque di un appartamento super rifinito.

Altrettante volte ho cercato di spiegare che le finiture sono probabilmente l’ultima cosa che bisogna guardare prima di un acquisto. E lo dico come architetto, è chiaro, non perché preferisco che si scelgano case da ristrutturare in modo che la categoria a cui appartengo abbia più occasioni di lavoro, ma perché valuto più importanti altri elementi. Vediamo quali.

Quando entro in un appartamento per deformazione professionale penso sempre alle sue potenzialità. Ma se è vero che si può sempre fare qualcosa per migliorare, e anzi probabilmente noi architetti troviamo più stimolante lavorare sui “brutti anatroccoli”, è altrettanto vero che ci sono delle qualità evidente: o ci sono o non ci sono. E lì miracoli non se ne possono fare.

Tra queste escludiamo questioni quali il contesto, troppo lungo qui parlare delle differenze tra centro e periferia, condominio o soluzione indipendente, anche perché spesso i criteri di scelta sono del tutto soggettivi e legati a motivazioni quali vicinanza al posto di lavoro, a familiari, scuole.

Avete sicuramente fatto caso in questi giorni a quanto è importante avere degli spazi all’aperto: giardini, terrazzi, balconi, ogni metro quadro in più è vitale e non solo per i nostri flash mob delle 18:00, ma per la possibilità di stare all’aria aperta pur restando in casa. Gli spazi all’aperto vogliono dire anche superficie finestrata e dunque luce.

La luce, il soleggiamento, la vista, sono tra le qualità fondamentali per il benessere che possono garantire. Non sto qui a spiegarvi la formula scientifica della superficie aero illuminante dei locali abitativi obbligatoria per legge, visto che quella è più o meno soddisfatta dappertutto, se non nei sopracitati bassi. Ma avete mai notato che gli appartamenti antichi risultano spesso più belli di quelli moderni? Uno dei motivi è l’altezza degli infissi, infissi più alti=vetri più alti=maggiore quantità di luce.

È importante anche l’orientamento: rimango sempre stupita quando chiedo a qualcuno come è esposta l’abitazione che vuole acquistare o affittare e mi risponde che non lo sa. E poi… Cosa c’è intorno? Quanto sono vicini gli altri edifici? Cosa posso guardare rimanendo in casa o affacciandomi al balcone? Sono questi gli elementi che dovrebbero fare il prezzo di un immobile perché sono caratteristiche che, a meno di improbabili demolizioni o costruzioni, non dovrebbero cambiare per decenni, se non secoli.

Un altro motivo per cui le case antiche (e per fortuna nelle nostre città ce ne sono) sono così affascinanti è l’altezza dei soffitti. Si tende sempre a confrontare gli appartamenti in base ai mq di superficie utile, trascurando un elemento importante: il volume.

Non concentriamoci quindi sui rivestimenti appena posti in opera o sulla tinteggiatura impeccabile, sono tutti particolari che si possono modificare facilmente, e anche la disposizione degli ambienti e il rapporto tra di loro è quasi sempre suscettibile di migliorie, se pur con interventi più impegnativi.

Il mio consiglio è valutare tutte le caratteristiche di un’abitazione prima di decidere di acquistarla o affittarla: un brutto pavimento può essere sostituito, un affaccio buio e triste no.

Quando poi decidete di investire dei soldi per fare dei cambiamenti, non scegliete con superficialità a chi affidarli: non è la stessa cosa coinvolgere un parente in quanto tale, il titolare di un’impresa o un architetto che di solito sbriga pratiche al catasto (senza offesa per nessuno). Date uno sguardo ai curriculum, come fareste con un medico o un avvocato, fatevi mostrare lavori precedenti, fate delle belle chiacchierate, fidatevi soprattutto di chi invece di assecondare le vostre richieste, vi invita a vagliare anche ipotesi alternative, è questo che dovrebbe fare un buon progettista.

Un’altra cosa che si è sentita molto in questi giorni, è la raccomandazione di lasciare scarpe e vestiti all’ingresso. Ma dove sono gli ingressi delle case italiane? Quanti sono sopravvissuti alla furia devastatrice delle ristrutturazioni più recenti? Quante nuove costruzioni si sono potute concedere il lusso di esserne provviste?

Ecco, gli ingressi, i corridoi, i disimpegni, sono tra i locali meno amati dai clienti e più amati da me! Non so quante volte mi sono sentita chiedere “eliminiamo l’ingresso? è tutto spazio inutile!”, con una logica di ottimizzazione che mi sembra derivare pari pari da trattati economici. E io a spiegare che, nelle case che lo permettono, questi spazi “filtro” sono invece importantissimi e non solo perché solleticano gli istinti narcisistici degli architetti. Sono infatti la spina dorsale dei nostri appartamenti, elementi al contempo utili e suggestivi, si annidano in essi le possibilità di articolare gli ambienti, connetterli o separarli, creare visuali, stabilire gerarchie, indirizzare percorsi, equilibrare tutte le parti tra loro e col tutto.

Un’ultima cosa, e questo lo dico ai miei colleghi: quando progettiamo spazi domestici, pensiamo un po’ meno allo scatto instagrammabile da pubblicare, e un po’ di più alle persone che in quegli spazi dovranno mangiare, dormire, crescere, invitare amici e qualche volta, purtroppo, rimanere rintanati per mesi.

A tutti voi infine, vorrei dire che capisco chi vuole risparmiare sulla bolletta scegliendo luci a led molto efficienti. Ma il confort abitativo dipende moltissimo dall’illuminazionzione degli ambienti. Abbassate un po’ quei benedetti gradi kelvin… per carità!

Fotoservizio: archivio ristrutturazioni di Studio74Ram

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Emilia Abate

Emilia Abate, architetto, si laurea col massimo dei voti presso l’Università Federico II di Napoli, ma solo negli anni successivi scopre che la sua vera vocazione è il progetto. Con Francesco Rotondale e lo STUDIO74RAM si occupa di progettare case, uffici, chiese, negozi, arredi, prodotti. Alcuni lavori sono stati oggetto di mostre, pubblicazioni, premi in concorsi nazionali e internazionali. Dal 2016 fa parte del direttivo di Radicity, un’associazione che si occupa di rigenerazioni urbane ecosostenibili. Dal 2020 ha deciso di condividere con i lettori di The Way Magazine le sue riflessioni su design, architettura e urbanistica. Vive e lavora a Napoli.
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