Dopo sei mesi, ha chiuso la XV Biennale di Architettura di Venezia pochi giorni fa e, al momento dei bilanci, è legittimo chiedersi quale contributo abbia dato alla nostra architettura.
Sicuramente possiamo dire che l’appuntamento internazionale ha rimarcato una nuova visione dell’architettura a servizio della collettività, dove l’architetto riveste un ruolo sociale di promotore di nuovi modi di vivere e di abitare gli spazi privati e pubblici.
A problemi come necessità di socializzazione, integrazione, legalità, benessere psicofisico che riscontriamo nelle periferie ma non solo, l’architettura può offrire delle risposte concrete e, notizia ancora più interessante, lo può fare anche senza grandi disponibilità economiche. È un’architettura che fa leva sul senso di appartenenza, identità, condivisione e conoscenza che muove leve di partecipazione collettiva, nel finanziamento come nella realizzazione, uscendo fuori da logiche politiche di appalti più o meno grandi con un uso più parsimonioso del denaro spesso raccolto anche in crowdfunding. È un’architettura che convive con quella delle grandi opere senza complessi di inferiorità avendo ben chiara la differenza di ruoli: l’una di rappresentanza, l’altra di servizio.
Come nelle squadre che funzionano ognuno ha il suo ruolo: mentre una è icona di stile e di potere l’altra ricorda che il potere lo si esercita per governare un popolo e che si hanno delle responsabilità verso di esso. Il ruolo dell’architettura diventa allora anche quello di costruire un sapere comune, diffuso e condiviso, spendibile per la cura dei luoghi e per lo sviluppo del capitale umano.
La periferia non è più solo lo spazio fisico, ma è tutto ciò che sta ai margini, che per qualche motivo non riesce a partecipare. Dare un ordine alle cose, codificarle inserendole in contesti regolamentati, serve allora a sfruttare al meglio queste energie alternative, punti di vista da diverse prospettive capaci di generare spinte dinamiche contrastanti la stagnalità di certi contesti. In particolare la mostra Taking Care, del Padiglione Italia è stata un invito ad un dialogo sempre più concreto tra l’architettura e il mondo delle associazioni che sono la voce di interessi comuni là dove i partiti hanno perso identità per configurarsi solo nell’immagine del loro leader. L’architettura, che nasce con lo scopo di trasformare i luoghi per metterli a servizio di chi li utilizza, trae dall’ascolto dei problemi e delle mancanze, preziosi spunti di riflessione su come operare, generando identità, consapevolezza, appropriazione, diffusione di democrazia e migliore convivenza tra i cittadini.